La Nuova Sardegna

la storia del BLUFF

Aziende chiuse e fondi spariti

Aperte solo 11 imprese su 29 finanziate, appena 300 gli occupati

20 aprile 2014
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OTTANA. Il più grande bluff della storia dell’industria del centro Sardegna. E, forse, dell’isola. Una truffa colossale. Mandata avanti negli anni nell’indifferenza più assoluta di governo e Regione che, pure, hanno foraggiato le aziende con decine di milioni di soldi pubblici. È la storia del Contratto d’area di Ottana: lo strumento nato nel 1998 per arginare la crisi dell’industria chimica nel centro Sardegna. I numeri parlano chiaro: delle 29 aziende finanziate con il cosiddetto primo (e ultimo) protocollo aggiuntivo, ne sono rimaste in piedi soltanto undici, tredici quelle revocate e cinque quelle morte ancora prima di nascere. I lavoratori occupati sono meno di trecento. Tutti numeri aggiornati per eccesso. Si, perché neppure il comitato provinciale promotore del Contratto d’area, ormai ente fantasma pure lui, dispone di dati aggiornati. Gli ultimi risalgono al 2011. Un disastro certificato anche dalla Guardia di finanza di Nuoro: su 22 aziende controllate, ben venti sono risultate irregolari per un danno erariale di cento milioni di euro. Numerosi i fascicoli ancora aperti dal tribunale fallimentare di Nuoro e Oristano. Eppure il Contratto d’area, accolto allora con squilli di tromba da Confindustria, sindacati e partiti politici, avrebbe dovuto dare alla luce 29 piccole aziende in grado di dare lavoro a mille e 362 lavoratori con 168 milioni di contributi messi a disposizione dallo Stato, 114 dei quali già erogati. E spariti. Il bilancio, dopo 16 anni, è desolante. I capannoni chiusi o mai aperti ai confini tra il territorio di Bolotana, Ottana e Noragugume, raccontano la storia di aziende fallite, soldi svaniti nel nulla, imprenditori pirata, lavoratori finiti per strada dopo pochi mesi di lavoro, alcuni assunti solo per avere i contributi pubblici. Nel giro di qualche anno, nel centro Sardegna, sono arrivate imprese che hanno presentato progetti fasulli, incamerato valanghe di contributi e fatto finta di avviare l’attività per incassare i finanziamenti. E poi sparire nel nulla.

Dei progetti di un tempo sono rimasti capannoni abbandonati presi di mira dai ladri che, oltre al rame, hanno rubato persino i sanitari dei bagni, strade al buio e in dissesto, cumuli di rifiuti, recinzioni divelte. E migliaia di ore di cassa integrazione e di mobilità. Una truffa colossale. Sulla quale la Guardia di finanza ha aperto decine di fascicoli. Ma nessuno dei predatori, finora, è stato chiamato a rispondere. Né a restituire il maltolto. E soprattutto a restituire le speranze ai giovani abbandonati lungo la strada di un sogno. (f.s.)

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