La Nuova Sardegna

Medici, imparate a parlare e a scrivere chiaro

Eugenia Tognotti
Medici, imparate a parlare e a scrivere chiaro

La necessità di adeguare il linguaggio della comunicazione anche attraverso una "educazione alla parola" che dovrebbe entrare nei percorsi formativi dei futuri medici e avere sempre più spazio, per i camici bianchi in attività, nei programma nazionale di attività formative

09 aprile 2018
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Non è poi così scontato, a quanto pare - nell'èra prima del "consenso informato" - che i medici rispettino per intero l'obbligo informativo nei confronti dei pazienti, spiegando loro, senza ricorrere ad un gergo tecnico, ma a termini chiari e comprensibili, i risultati diagnostici e le prevedibili conseguenze dei trattamenti terapeutici. Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (la 6688/2018) ha infatti condannato un ospedale al risarcimento dei danni provocati ai familiari di una paziente deceduta.

L'informazione da parte dei medici c'era stata, ma incompleta. E con un linguaggio che non aveva rappresentato, in modo chiaro, il livello di gravità, il rischio emerso dagli accertamenti diagnostici e l'urgenza, tenendo conto anche dell'istruzione e delle condizioni della persona. Cosa che l'aveva privata della possibilità di comprendere appieno la serietà della malattia, presupposto dell'esercizio del diritto all'autodeterminazione. La questione linguistico-comunicativa nella relazione medico-malato, che percorre la lunga e articolata sentenza, è del più grande interesse perché rende esplicito il collegamento tra lesione di un diritto e comunicazione sbagliata di punti complessi, quali diagnosi, prognosi, rischio.

Chiarendo l'importanza del linguaggio da usare con i pazienti, da sempre al centro dell'attenzione, essendo la relazione medico-malato la radice più antica e robusta della Medicina. Non per caso - pur nell'epoca trionfante del paternalismo medico - tutti gli antichi "Galatei de' medici" insistono sull'assoluta necessità che i medici sviluppassero "l'uso della locuzione", più che mai indispensabile - per riprendere un passo di uno dei più celebri, quello di un cattedratico abruzzese, Luigi Petrini (1824) - «ad inspirare fiducia e confidenza; a persuadere gl'infermi sulla vera natura del male, sugli eventi dello stesso e sul modo di curarli». Una sequenza che assomiglia molto all'espressione usata, a due secoli di distanza, dai giudici della III sezione della Cassazione per chiarire che l'obbligo informativo si adempie traducendo la diagnosi «a livello di conoscenza scientifica del paziente», sia per quanto riguarda il suo significato intrinseco, sia per i limiti temporali entro i quali sottoporsi a ulteriori accertamenti o a trattamenti terapeutici.Una sentenza importante che, nel richiamare, con tutti i particolari, una storia clinica frammentata - tra medici, ecografisti, senologi, registri linguistici - sollecita parecchie riflessioni sulla complessità della relazione medico-paziente, in un tempo in cui la tecnologizzazione della Medicina fa sì che le apparecchiature sostituiscano il tocco, gli occhi e lo sguardo del medico sul corpo malato.

Ad imporsi, con forza, è la necessità di adeguare il linguaggio della comunicazione anche attraverso una "educazione alla parola" che dovrebbe entrare nei percorsi formativi dei futuri medici e avere sempre più spazio, per i camici bianchi in attività, nei programma nazionale di attività formative Ecm (Educazione Continua in Medicina ).Dal linguaggio alla scrittura. È un altro discorso, naturalmente, ma è quasi inevitabile richiamare la leggendaria indecifrabilità delle ricette mediche che costringono ad un lavoro di decodifica delle prescrizioni. Non è solo un mito o uno stereotipo su cui scherzare. È infatti all'origine degli errori più o meno nell'assunzione dei farmaci, un problema cruciale per i sistemi sanitari. Ma, in questo campo, il rimedio è semplice e alla portata di ogni medico e in ogni contesto: una grafia con caratteri chiari e leggibili al posto dei geroglifici egizi. È dimostrato che scrivere in stampatello sulle cartelle cliniche potrebbe prevenire un mare di problemi ( e salvare delle vite), visto che proprio gli errori di prescrizione sono responsabili di circa la metà di quelli commessi in corsia.

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