La Nuova Sardegna

Viaggio nel pianeta Pd poche idee e niente leader

di Alessandro Pirina
Viaggio nel pianeta Pd poche idee e niente leader

A tre mesi dalla débacle alle politiche tra i democratici sardi regna ancora il caos Le dimissioni congelate del segretario, duelli tra big e correnti sempre lontane

05 giugno 2018
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SASSARI. Lo stallo in cui è imbrigliato il Pd sardo è tutto in una immagine. Un frame dell’ultima assemblea di Abbasanta. Da una parte Soru, a distanza ravvicinata Ganau. Uno scontro plateale tra due leader, due correnti, due visioni di governo, di futuro, di Sardegna. Un partito che non riesce a fare sintesi e a guardare avanti neanche dopo la batosta elettorale. Per il Pd il 4 marzo è stata una disfatta senza eguali. Il partito si è liquefatto ovunque, soprattutto in quelle che un tempo erano le sue roccaforti. I collegi sicuri in cui l’accettazione della candidatura equivaleva all’elezione. E invece il Nuorese, l’Ogliastra, il Sulcis, la stessa Sassari non solo hanno premiato i 5 stelle, ma hanno relegato la sinistra al terzo posto dietro un centrodestra lontano dai vecchi fasti berlusconiani. Un tracollo che neanche gli analisti più pessimisti avevano messo in conto. Da allora sono passati tre mesi. 90 lunghi giorni in cui, seppur non senza difficoltà, l’Italia è riuscita a darsi un governo. Lega e 5 stelle sono stati più veloci del Pd sardo, che non ha ancora fatto i conti con il disastro elettorale del 4 marzo.

Il caos. Dimissioni congelate, direzioni, assemblee, autoconvocazioni, autocandidature, rinvii, fino allo scontro feroce tra l’ex governatore e il presidente del Consiglio regionale. Insomma, il Pd sardo è fermo a prima del 4 marzo. Ancorato a una situazione che è stata spazzata via dagli elettori. Prigioniero delle sue correnti che, stando agli ultimi risultati elettorali, rischiano di trasformarsi in fan club del singolo leader di riferimento. In Sardegna il Pd ha fin dalla sua nascita una geografia diversa rispetto al resto d’Italia. Perché se a livello nazionale i dem sardi si sono schierati in massa col leader del momento - prima Veltroni poi Bersani, infine Renzi -, a livello locale il partito si è sempre presentato diviso, litigioso, autore di guerre e paci interne che hanno prima spiazzato gli elettori e poi li hanno fatti scappare.

Solo ko. Basta pensare a come sono andate le vicende di questi anni. Gli ultimi successi elettorali del Pd, e del centrosinistra nel suo insieme, risalgono al 2014. Prima l’affermazione di Pigliaru alla Regione, favorito anche dall’assenza del M5s dalla corsa elettorale, poi la vittoria travolgente di Nicola Sanna alle comunali di Sassari negli stessi giorni del 40 per cento di Renzi alle Europee. Da quel momento in poi il Pd sardo è riuscito a collezionare solo sconfitte. Non solo sono ritornate a casa città che la sinistra era riuscita a strappare alla destra, come Olbia, Tempio e Oristano, ma a crollare sono state soprattutto roccaforti rosse come Nuoro, Porto Torres e Carbonia. Ha fatto eccezione solo Cagliari, dove il fattore Zedda - che va ricordato non è un dem - ha fatto forse la differenza. E in questo scenario non si può dimenticare il referendum del 4 dicembre. A favore della riforma Renzi-Boschi c’era tutto lo stato maggiore del Pd, ma il Sì è stato asfaltato dal No col 72,22 dei voti, la percentuale più alta d’Italia.

Alleanze forzate. I campanelli d’allarme, insomma, erano tanti. La sconfitta alle politiche era nell’aria. Ma ciononostante il Pd non se n’è curato. Ha pensato più all’autoconservazione dei suoi leader che a quella dei suoi elettori. Pochi mesi dopo il referendum nell’isola si sono svolte le primarie. A livello nazionale si scontravano Renzi e Orlando, due linee diverse sulla guida del Pd. In Sardegna invece si registrava l’ennesima operazione collage, con pezzi di partito accasati con quelli che erano gli avversari fino al giorno prima. Era già accaduto nel 2014 con Soru vittorioso, sostenuto da Cabras, l’eterno rivale dal 2007. Tre anni dopo le alleanze si sono capovolte: i soriani da soli contro la corazzata formata da area Cabras Fadda, renziani ed ex Ds. Giuseppe Luigi Cucca ha vinto senza problemi, ma anche la sua elezione si è rivelata la solita alleanza “contro” più che una alleanza “per”.

Il crollo. La prova del 9 si è vista nella compilazione delle liste per le politiche. Una spartizione di posti sicuri tra correnti che ha indebolito ulteriormente il già debole Pd. In 10 anni, dalle politiche del 2008 a quelle di quest’anno, in Sardegna i dem sono passati da 354mila voti a 128mila. Un crollo pari a 226mila voti. Una debacle che però non ha prodotto nessuna scossa. Le tre correnti continuano a camminare su tre strade parallele che portano ognuna a un approdo diverso. Il segretario Cucca, renziano, è pronto a lasciare ma chiede un Caronte superpartes, Soru pretende primarie immediate e l’ex senatore Lai, area Cabras Fadda, propone un referendum che renda autonomo il Pd sardo da Roma. Idee non per forza inconciliabili, ma le tre correnti da tre mesi non riescono a fare sintesi, a trovare un accordo che faccia ripartire la macchina. E nel frattempo la quarta corrente, quella maggioritaria degli elettori, è emigrata verso altri lidi.

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