La Nuova Sardegna

Crollo della free press in Sardegna: «Solo numeri fantasiosi Epolis, non era sostenibile»

di Mauro Lissia
Crollo della free press in Sardegna: «Solo numeri fantasiosi Epolis, non era sostenibile»

L’analisi spietata dei curatori fallimentari al processo in tribunale con 19 imputati. L’ex direttore Cirillo: «Raggiunti anche picchi di 650mila copie, davamo fastidio» 

14 novembre 2019
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CAGLIARI. Da una parte la necessità di coprire i costi di 19 piccoli quotidiani free press tra cui il Giornale di Sardegna, dall’altra una voragine finanziaria, debiti fuori controllo fra cui 50 milioni dovuti allo stampatore che un piano editoriale basato su «elementi di ricavo fantasiosi» avrebbe dovuto ripianare. Letta attraverso gli atti del processo per bancarotta con 19 imputati, che va avanti a rilento davanti ai giudici della prima sezione del tribunale, la vicenda del gruppo Epolis viene definita col realismo che la sequenza di editori avrebbe dovuto usare: «Avrebbero dovuto fermarsi - ha detto il curatore fallimentare Sergio Vacca, rispondendo alle domande degli avvocati - perché i numeri non lasciavano scampo». Invece il gruppo capeggiato dal chiacchierato imprenditore Alberto Rigotti, che rilevò la catena di giornali dall’editore cagliaritano Nichi Grauso, andò avanti dal 2008 al 2010 immagazzinando debiti, fra spese pazze e stipendi che per i 140 dipendenti non arrivavano più. Fino al fallimento-crack da 130 milioni e gli arresti dei vertici amministrativi che misero fine all’avventura editoriale. Prima che il curatore riferisse attraverso le cifre la catastrofica storia finanziaria del gruppo Epolis, il pm Giangiacomo Pilia e alcuni difensori hanno sentito la testimonianza dell’ultimo direttore, Vincenzo Cirillo, che ha chiarito quali fossero i suoi riferimenti all’interno della proprietà e ha riferito i numeri di quello che sul piano strettamente giornalistico sarebbe stato per lui un successo: «Prendemmo i giornali a 200 mila copie distribuite - ha spiegato al tribunale presieduto da Tiziana Marogna - e grazie a uno scoop e a un piano editoriale lo portammo a picchi di 650 mila copie, 140 mila solo a Roma». Per il giornalista i piccoli quotidiani gratuiti nati da un progetto di Grauso «davano fastidio, sia a Caltagirone che ad altri grandi gruppi editoriali». Cirillo non ha negato le difficoltà finanziarie in cui dovette lavorare a Cagliari («non arrivavano gli stipendi, i giornalisti erano in assemblea permanente») e ha spiegato di non aver mai sentito parlare di un piano di ristrutturazione. D’altro canto, a sentire i curatori, c’era ben poco da ristrutturare: il gruppo editoriale poggiava su un piano finanziario insostenibile, al punto che persino un uomo di grande esperienza come Marcello Dell’Utri, entrato nella proprietà dopo l’uscita di Grauso, preferì abbandonare l’impresa dopo pochi mesi. Il tentativo di rilancio, ha spiegato Vacca, era ancorato alla ricerca di fantomatici investitori e finanziatori che avrebbero dovuto garantire la copertura dei costi scoperti: «Non se ne trovò neppure uno» ha tagliato corto il commercialista.

Fin qui l’udienza di ieri. Il dibattimento pubblico andrà avanti il 27 novembre ma a nove anni dai fatti i numeri del processo fanno già balenare lo spettro della prescrizione: 83 testimoni e 8 consulenti della difesa, cui vanno aggiunti quelli dell’accusa. Difficile che la sentenza possa arrivare nei termini.

Imputati a vario titolo di bancarotta fraudolenta, documentale e per distrazione sono il fondatore del gruppo editoriale Nichi Grauso, l'ex presidente e consigliere del cda di Publiepolis e presidente di Epolis Alberto Rigotti, Sara Cipollini, che era amministratore di Epolis e consigliere del cda di Publiepolis, Vincenzo Maria Greco, vicepresidente del cda di Publiepolis e Francesco Ruscigno. Con loro, per rispondere di accuse meno gravi, Alessandro Valentino, Michela Veronica Crescenti, Rosalba e Rosanna Chielli, Anna Abbatecola, Franco Manconi, Giuseppe Virga, J.G.V., Claudio Noziglia, Mauro Marciano, Stefano Gobbi e Franco Raia.


 

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