La Nuova Sardegna

Air Italy, il dramma di una dipendente: «In un anno ho perso tutto»

Dario Budroni
Air Italy, il dramma di una dipendente: «In un anno ho perso tutto»

La storia di Angela Asara che con 21 colleghi ha lasciato Olbia per Milano: ora sono tutti senza lavoro

14 febbraio 2020
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OLBIA. Il futuro è lassù, dicevano. Lei a questa cosa non ci aveva mai creduto. Ma alla fine si era trovata costretta. Una valigia e quindi via a Malpensa. Lontana da casa e dai suoi bambini, a svolgere un lavoro che, come si diceva in quei giorni di lotta, avrebbe potuto continuare a fare anche nella sua città, Olbia. Angela Asara è dipendente da 24 anni.Ha visto Meridiana crescere e diventare grande. Ma l'ha anche vista rischiare il collasso. Nel 2018, con la nascita di Air Italy, è stata infine trasferita a Malpensa insieme ad altri 21 colleghi. Per lei nessuna alternativa: partire o perdere tutto. Ma mai avrebbe immaginato che solo un anno e quattro mesi più tardi avrebbe rischiato di fare il viaggio inverso: di nuovo a Olbia, ma stavolta senza più un lavoro. «Quando l'altro giorno mi è arrivata quella lettera, così fredda, è stato un vero colpo al cuore. Se in quel momento mi avessero punto non sarebbe uscita neanche una goccia di sangue» racconta Angela Asara, un donna che, insieme ad altre 500 persone, non sa più che volto avrà il suo futuro.

Da Olbia a Malpensa. Meridiana aveva cambiato nome solo da qualche mese. E il futuro della compagnia doveva essere Malpensa, come più volte ribadito dai vari manager che si sono succeduti al comando. Quindi la decisione di trasferire in Lombardia, dal 1° ottobre 2018, il cuore dell'azienda: l'ufficio operativo. Inizialmente sarebbero dovuti partire in 53. Diversi lavoratori, però, grazie ad alcune 104 e altri fattori, erano però riusciti a restare a Olbia. «Alla fine siamo stati trasferiti in 22. All'inizio è stato tragico, visto sono madre di due bambini di 10 e 6 anni. Il più piccolo, che in quel periodo non aveva neanche 5 anni, quando nel weekend tornavo a casa quasi non mi rivolgeva la parola - ricorda Angela Asara, che è anche sindacalista Rsa della Uiltrasporti -. È stato terribile e per la prima volta ho sofferto di attacchi di panico. Abbiamo cercato di evitare il trasferimento in tutti i modi, ma non c'è stato niente da fare. A 20 anni sarei andata dappertutto, ma una volta superati i 40 no. Per cercare di stare il più tempo possibile a casa lavoriamo 12 ore al giorno e per quattro giorni alla settimana. Il fatto, però, è che tra partire e tornare si sta fuori sei giorni. E ovviamente c'è anche il problema dell'alloggio. Si lavora quasi per mantenersi lì».

Verso il collasso. Angela Asara, come tutti i suoi colleghi, negli anni ne ha viste e sentite di tutti i colori. «Prima lavoravo al call center - spiega la dipendente della compagnia -. E nel 2016, per evitare i licenziamenti, ci siamo diminuiti i mesi di lavoro da 12 a 11». Poi il passaggio all'ufficio operativo e nel 2018 l'ingresso di Qatar Airways, con la presentazione di un ambizioso piano industriale che puntava a fare la guerra ad Alitalia con 50 aerei e 10mila assunzioni. «Ovviamente non è andata così - continua Angela Asara -. E le cose sono peggiorate negli ultimi mesi. Si vedeva chiaramente che l'azienda si stava pian piano sgretolando. Una bruttissima sensazione. Capitava che neanche il toner venisse più sostituito. Poi vedevamo le compagnie bulgare operare sulle nostre tratte e i nostri assistenti di volo restare a casa. Tra lavoratori ci dicevamo: "Chissà se quest'anno il panettone lo mangiamo". Immaginavamo, comunque, che con la chiusura momentanea dell'aeroporto di Olbia sarebbe successo qualcosa. Infatti così è stato».

Fine dei giochi. Martedì dopo pranzo, dopo le prime allarmanti notizie circolate già lunedì sera, l'arrivo di una mail firmata dal presidente di Air Italy, Roberto Spada. «Che brutto leggere quelle parole, che brutto vedere nero su bianco che la tua azienda è finita in liquidazione» dice Angela Asara, che continuerà ad andare al lavoro. Perché ci sono i passeggeri da riproteggere e le ultime cose da sistemare. Poi chissà. «Sicuramente ci arriverà una nuova lettera con cui ci diranno che il nostro lavoro è finito e che ci pagheranno per stare a casa - dice Angela Asara -. A loro conviene, perché se non lavori naturalmente non ti pagano neanche le maggiorazioni come i notturni. È un risparmio. Poi ci metteremo in attesa che succeda qualcosa. A dir la verità, adesso, non so davvero cosa aspettarmi. So solo che è una sensazione bruttissima. Io ho dato tutto per questa azienda e in lei ci ho creduto. Vedere che sta morendo è un qualcosa di devastante». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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