La Nuova Sardegna

In piazza contro il Dpcm: «Chiediamo solo di lavorare»

di Stefano Ambu
In piazza contro il Dpcm: «Chiediamo solo di lavorare»

Cagliari, ristoratori e gestori di palestre dicono no al nuovo semi lockdown Attività allo stremo in tutta l’isola: «Seguiamo i protocolli ma ci fanno chiudere»

29 ottobre 2020
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CAGLIARI. Portici, strada e lungomare davanti al Consiglio regionale trasformati in una palestra all’aperto. Perché le palestre vere sono chiuse. E Piazza Del Carmine trasformata in un immenso ristorante all’aperto con tovaglie, piatti, bicchieri e posate in terra. Perché i ristoranti, i bar, le birrerie a tanti altri sono chiusi dalle 18 in poi. La fantasia - e non la violenza come sta succedendo in altre città - è diventata un’arma di protesta contro il lockdown.

Le proteste. Per lo stop alle palestre, alle piscine e ai centri fitness sono arrivati, anche da Sassari, Nuoro, Oristano e Sulcis, atleti e allenatori in tuta e titolari delle attività. Risultato? Invasione di via Roma e temporanea chiusura al traffico. Davanti al porto, invece, musica reggaeton e dance per accompagnare i passi di danza. «La categoria – spiegano i manifestanti – è tra quelle che più ha lavorato per seguire alla lettera i protocolli di sicurezza, che più ha investito in sanificazioni e per mettersi a norma. I centri sportivi sono come bomboniere, tale è la cura e il rispetto delle regole». Loro erano fermi, nonostante il movimento sia la loro attività di base e hanno parlato tramite gli striscioni: “Lo sport è un’epidemia di salute”. Ma anche l’immancabile “Mens sana in corpore sano”. «In questi mesi – spiega Davide Dotta di Athlon Cagliari – abbiamo dimostrato di poter lavorare in sicurezza, nessun centro è stato sanzionato. Non sappiamo proprio quali siano i dati e le analisi che hanno convinto il Governo a ordinare la chiusura». Qualche centinaio di metri più in là, in piazza del Carmine la protesta di bar, ristoranti, gelaterie. Insomma tutto quello che dava sostanza alle uscite serali. Duecento imprenditori si sono seduti in terra, perché anche dalla Sardegna il messaggio è proprio quello: «Siamo a terra». «Dopo il lockdown – dice lo chef Luigi Pomata – ho dimezzato i posti a sedere (44 in meno), i posti di lavoro (da 40 a 19) e gli incassi. Non chiediamo elemosina, ma almeno non fateci pagare le tasse. I ristoranti sono sicuri. Con la chiusura pagano il conto anche tanti altri: dai tassisti ai negozi di abbigliamento, chi ha più voglia di comprarsi qualcosa se non può uscire?».

No alla violenza. Una manifestazione silenziosa e pacifica. Duecento per scelta, solo una rappresentanza dei circa 5mila esercizi pubblici sardi. Presente anche il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu. Subito un momento commovente con il saluto e l’applauso per ricordare Carlo Livinio, il titolare del Lima Lima, prima vittima del Covid a Cagliari. «Siamo di fronte a una febbre anche economica – dice Alberto Bertolotti, presidente di Confcommercio Sud Sardegna – oggi non ce la facciamo più. Se anche la chiusura sarà spostata alle 23 il problema rimarrà». Solo a Cagliari si contano 1402 locali, di cui 871 ristoranti e 499 bar, il resto sono catering e mense. «Abbiamo chiesto – continua Bertolotti – di eliminare subito l’Irap e di declinare in salsa sarda i provvedimenti del governo come i contributi a fondo perduto per i ristoratori». «Le direttive non considerano il nostro lavoro, i nostri sacrifici – ribadisce il presidente Fipe Confcommercio Sud Sardegna, Emanuele Frongia. Poi di corsa al lavoro. Perché si può lavorare solo a pranzo.

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