La Nuova Sardegna

Insularità e costi aumentati, aziende sarde in sofferenza

Insularità e costi aumentati, aziende sarde in sofferenza

Confagricoltura: il premio "Emergenza stalle" non basta per colmare il gap

08 gennaio 2022
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SASSARI. Non ha finora ricevuto un grande plauso da parte degli allevatori sardi del settore bovino la notizia del via libera al Protocollo d’intesa della filiera del latte vaccino: il premio “Emergenza stalle” fino al 31 marzo 2022 prevede un sostegno di 3 centesimi/litro. Se l’obiettivo era portare sollievo in un periodo di emergenza per l’aumento dei costi di produzione, secondo Confagricoltura il premio (che porta il prezzo sino al tetto di 0,41 euro) è troppo esiguo per compensare insularità e i maggiori costi delle materie prime per le aziende sarde.

I numeri. Nelle circa 250 stalle della Sardegna vengono allevati oltre 55mila capi, per il 95% di razza Frisona italiana; poco più del 90% delle imprese opera nell’Oristanese. Negli ultimi anni sono stati raccolti in media 205 milioni di litri di latte a stagione, per un giro d’affari che con l’indotto si aggira sui 500 milioni di euro. Il fabbisogno dei consumi regionali è coperto dalle produzioni locali e circa 50 milioni di litri escono dall’isola fra latte e trasformati caseari. La 3A di Arborea raccoglie quasi il 95% del latte sardo. Circa il 50% della sostanza secca (cereali e altri mangimi) consumata dai bovini arriva da fuori regione. Nel 2021, in pochi mesi, tali materie prime sono aumentate fino al 50%.

Tocca alla politica. Per il presidente di Confagricoltura Sardegna, Paolo Mele, il premio “Emergenza stalle” «è un intervento interessante su cui impostare azioni future», ma nella nostra regione «l’insularità è un peccato originale con cui fare i conti». Nonostante la condizione di crisi «riusciamo ancora a mantenere margini di competitività, che con l’ultimo aumento dei prezzi rischiano di svanire. Allora i tavoli sul Pnrr dovrebbero finalmente portare Regione e Governo ad affrontare con coraggio tale criticità che rischia di far collassare le esperienze di impresa virtuose esistenti e di ostacolare quelle sul nascere».

Gli allevatori. «Portare avanti un allevamento in momenti di crisi come questi significa esporre doppiamente le aziende sul piano finanziario – spiega Emanuele Balliana, allevatore 46enne di Arborea con 450 capi in azienda di cui 250 in mungitura –. Il nostro lavoro è una macchina che non si può fermare, è a ciclo continuo. Non possiamo sottrarci a impegni come assicurare una giusta assistenza sanitaria e alimentare agli animali o i controlli sul prodotto. Alla crisi si deve aggiungere che in Sardegna dobbiamo affrontare i costi dell’insularità che, oltre a incidere sul prezzo delle materie prime, fanno lievitare quelli di energia e carburanti, sempre più cari rispetto alle realtà del nord Italia. Inoltre, incidono in maniera negativa sui costi il clima più caldo e i cambiamenti climatici, che richiedono maggiori investimenti strutturali nel sostenere il benessere animale: aspetto centrale dell’allevamento». «Soia, mais e altri mangimi sono in continuo aumento, oltre ai costi del trasporto dal continente con incrementi dai 5 ai 7 euro a quintale» dice Giorgio Sequi, allevatore di Terralba, un’azienda con 500 Frisone italiane, di cui 230 in produzione, ricordando che per garantire gli standard qualitativi occorrono spese notevoli. Ma le economie del comparto non si basano solo sul latte e suoi derivati, ma anche dalla vendita delle carni dei vitelli maschi o degli animali a fine carriera. «In questa operazione il vero guadagno non rimane nelle tasche dell’allevatore sardo, che dalla vendita rischia a volte di non rientrare dei costi di mantenimento, ma del centro di ingrasso extra regionale».

E per le realtà esterne al distretto Oristanese è ancora più dura. Nel nord Sardegna delle quasi 150 stalle operanti sino a 50 anni fa sono rimasti pochi coraggiosi che continuano a lavorare con circa 1600 capi in mungitura. «Con l’aumento del 55% dell’energia elettrica – dice Angelo Madau, 73 anni, 500 vacche di razza Frisona olandese e italiana tra Mores e Ardara – oltre che di gas, gasolio, concimi e di tutte le materie prime, rischiamo di non uscirne». (a.palmas)

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