La Nuova Sardegna

Covid, nel girone degli infetti la felicità è un respiro

di Luigi Soriga
Covid, nel girone degli infetti la felicità è un respiro

Un giorno nella “zona rossa” dell’ospedale Marino di Alghero tra no vax per convinzione o paura, spesso pentiti: «Non fate quest’errore»

15 gennaio 2022
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SASSARI. Il paradiso è appena oltre il vetro, con il profilo di Capocaccia viola di tramonto. Ma chi è dentro l’asettico purgatorio dell’ospedale Marino di Alghero, blindato nella zona rossa degli infetti, non ci fa neanche caso. È tutto concentrato su sè stesso, sulla propria vita che è rimasta appesa a un filo. Se trova la voglia di affacciarsi su quel paradiso in formato wide screen, se ne scorge di nuovo la bellezza, vuol dire che il covid davvero non fa più paura. Ha smesso di rubare l’aria, e il viaggio di ritorno alla vita è già a buon punto.

Fabio Pintori, 45, di Banari, ogni tanto butta l’occhio là fuori. Lui, prima di approdare nel purgatorio covid del Marino, è passato per l’inferno. Ha ancora la maschera dell’ossigeno, ma respira, parla, scherza. Dice: «Se sono qui è perché non mi sono vaccinato. Ero scettico, troppe informazioni e troppo confuse, non mi fidavo. Pensavo: sono in forma, esco in bicicletta, faccio cento chilometri, che vuoi che mi faccia il virus? Per poi dimenticarmi un piccolo particolare: sono anche asmatico. E al covid basta questo per distruggerti. E io me la sono vista brutta davvero». È andato al pronto soccorso di Sassari con la saturazione bassa. «Avevo fame d’aria, solo chi lo prova sa cosa significhi il terrore di soffocare». I medici lo visitano e lo spediscono nella palazzina di Malattia infettive, reparto semintensivo del professor Sergio Babudieri, con 16 letti, ai quali si aggiungono i 19 di Pneumocovid. Tutti già occupati, perché la pressione del virus da una settimana è fortissima. «Lì mi mettono a pancia in giù, non avevo nemmeno la forza di muovermi e di parlare. Poi peggioro ancora e ho bisogno del casco. Quello è l’inferno: non puoi dormire, non puoi comunicare, hai continuo rumore nelle orecchie, mangi e bevi da una cannuccia, il vetro si appanna e non vedi più nulla». E anche la speranza, in quei momenti, si annebbia. «Pensi che da lì all’intubazione sia un attimo, pensi a tua moglie, a tuo figlio, ma non hai nemmeno la forza di parlarci al telefono. Pensi a quanto sia sbagliato non vaccinarsi, credere che a te non possa capitare. Una volta sono anche andato all’hub di via Marghinotti, ero convinto di entrare. Poi arrivato lì mi ha preso il panico e sono andato via. Ora non avrei più alcun dubbio. È stata un’esperienza estrema e terribile, non vorrei mai ripeterla. E il mio è un consiglio rivolto a tutti: non fate il mio errore». Arrivano i medici, passano un panno sul vetro del casco, e quella garza di nebbia scompare, così come certi brutti pensieri. È tempo di lasciare Malattie infettive per andare al Marino di Alghero, dove comincia la discesa.

Assieme a Fabio ci sono altri 45 pazienti, ogni letto è occupato. Ci sono molti no vax, non per forza complottisti, con guerra dichiarata a Big Pharma. Alcuni sono semplicemente anziani che hanno chiuso la propria esistenza a doppia mandata, azzerando contatti e vita sociale. «Non esco mai – racconta una donna – vedo solo i parenti, pensabo di poter fare a meno del vaccino. Non mi sono mai informata seriamente, tante fesserie lette e ascoltate qua e là. Avevo paura di vaccinarmi. Basta che stia attenta, mi sono detta. Poi mio fratello ha incontrato un amico positivo, e ha contagiato venti persone della mia famiglia. Ed ecco perché sono qui». Ci sono anche quelli con la seconda dose scaduta da mesi, non più sufficientemente corazzati. Pazienti già con patologie pregresse, quindi col sistema immunitario già debilitato, facilmente aggredibili dal virus. E c’è anche Gianfranco, con terza dose, ma anche un recente trapianto di rene. Troppo vulnerabile per arginare il covid, anche con la copertura vaccinale completa. Che però gli ha salvato la vita, dice il medico, perché senza vaccino non avrebbe avuto una sola possibilità di sopravvivere. C’è anche il signor Fadda, 80 anni, un mese di calvario, se l’è vista brutta: «Signor Fadda si sieda un attimo nel letto – le dice la dottoressa dal monitor – ho una bella notizia per lei: il tampone è negativo, è guarito!». E lui si mette ad applaudire, esulta come avesse segnato in Champions, perché la voglia di vivere è travolgente e non ha età. La dottoressa Piras, un piccolo grande medico, di nome fa Salvatora ma tutti la chiamano Salva. Suona più rassicurante: quale paziente non vorrebbe un medico che si chiama Salva? Lei custodisce il video del signor Fadda nel telefonino. Quando lo guarda, gli occhi si inumidiscono, e non è colpa della mascherina. In fondo è come una medicina che libera dalle scorie, perché due anni di covid, senza tregua, sempre bardati, con la mascherina che lascia i solchi nel viso, le ore infinite trascorse in ospedale, lo sforzo quotidiano di risolvere il rebus di ricoveri e dimissioni, il peso di una guerra ancora lunga. Ecco, quel video è come un vaccino formidabile per lo sconforto: le ricorda quanto possa essere bello il suo lavoro, le dà forza. La dottoressa da due anni coordina il reparto Covid del Marino. «Siamo partiti in 5, siamo entrati che questa struttura era una scatola vuota, abbiamo iniziato a lavorare a cantiere aperto, prima con pochi posti, e dal 1 gennaio, siamo diventati una squadra di 17 medici, 24 infermieri e 19 oss per 45 letti». Tutti però già occupati. Spiega il professor Sergio Babudieri: «L’obiettivo è di aprirne altri 50 al più presto, ma al momento abbiamo solo 10 medici e ne occorrono almeno 13, e in più servono 15 infermieri che ora non si trovano». Prima la gestione del Marino era Ats, ora è passata all’Aou. È l’approdo dei pazienti positivi al tampone d’ingresso del pronto soccorso di Sassari, oppure di quelli stabilizzati agli Infettivi. Sono tanti, e ogni giorno aumentano, perché Delta e Omicron corrono svelte. I medici e gli infermieri sono al limite della resistenza, stringono i denti, si bardano ancora volta ed entrano nel tunnel rosso. Riemergono stravolti, come da una apnea, e a fine turno si dirigono sulla terrazza vista mare, che per tutti è come una camera di decompressione. Un rapido riaffiorare alla bellezza della vita, dopo ore di claustrofobia. La dottoressa Salva Piras leva la mascherina, guarda il mare e finalmente respira.

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