La Nuova Sardegna

Sassari

«Nessuna estorsione» assolto il manager arrestato con i soldi

di Elena Laudante

Pinna, responsabile Sielte, fu trovato con 3.500 euro L’Appello ribalta la sentenza: innocente, il fatto non sussiste

10 giugno 2012
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SASSARI. Quel fatto, la “mazzetta” da 3.500 euro che avrebbe preteso da due imprenditori, non sussiste. Non ci fu alcuna estorsione, nè truffa. La Corte d’Appello ha ribaltato la storia processuale di Angelo Pinna, 59 anni di Castelsardo (residente a Tergu) finito in carcere per 46 giorni più tre mesi agli arresti domiciliari, da responsabile Sardegna per la società siciliana Sielte Spa, che in tutta Italia esegue lavori per conto di Telecom. Era stato condannato dal gup nel 2007 a tre anni e mezzo. In Appello invece Pinna è stato assolto con la formula “perché il fatto non sussiste”.

L’ex manager della Sielte era stato arrestato in flagranza di reato - «con il denaro in mano», spiegarono i carabinieri - il 22 aprile 2005, all’atto di conservare la cifra incassata dalla ditta Eritel, circa 3.500 euro, che lavorava per Sielte in subappalto. Stando all’accusa, li avrebbe pretesi dietro minaccia di bloccare i pagamenti a lei dovuti, circa 240mila euro. Così il socio, Salvatore Vargiu, carabiniere in congedo, era corso a denunciarlo in Procura.

Poco dopo l’arresto Pinna era stato licenziato. Oggi i giudici di secondo grado - Azzena, Diez, Soro - scrivono una storia diversa. Partendo dal punto di vista offerto dai difensori Agostinangelo Marras e Franco Luigi Satta. E cioè che Pinna - questa la versione dei legali - aveva chiesto a Eritel soldi anticipati ad operai esterni alla ditta, che avevano eseguito una parte dei lavori a lei assegnati in subappalto, in un sistema che secondo Pinna funzionava a livello nazionale. Nel senso che Telecom affidava lavori a Sielte a prezzo fisso, Sielte a sua volta li affidava a un’altra ditta (in questo caso Eritel) con un ribasso. E poi una piccola parte di quelle opere - sopralluoghi e attività di minore importanza - sarebbero stati eseguiti da lavoratori Telecom in pensione, i cui proventi dovevano essere fatturati dal subappaltatore, in questo caso appunto Eritel. Pinna lo spiega dal giorno dell’arresto, ma la società, assistita dall’avvocato Orazio Gulisano, l’ha sempre smentito. L’inchiesta era nata dalla denuncia di Eritel, amministratore il costruttore Pier Salvatore Mondelli (oggi nei guai per bancarotta per il crac della Mondelli Costruzioni), a firma del socio Salvatore Vargiu. Militare dell’Arma in congedo, Vargiu sosteneva di aver dovuto pagare Pinna per far sbloccare pagamenti dovuti. Dalle indagini dell’allora pm Andrea Garau erano emerse fatture di altre ditte per giustificare i lavori fatti dai pensionati, cioè gli operai che non appartenevano ai titolari del subappalto. Per la Procura quel giro di fatture serviva in realtà a Pinna per «pagare soggetti diversi rispetto a coloro che avevano eseguito i lavori», si legge nel capo d’accusa, e comunque meno di quanto ricevuto dalle ditte che emettevano le fatture. Lucrando sulla differenza. In questo sarebbe consistita la truffa di Pinna, nella quale Sielte era persona offesa (parte civile al processo). In aula i difensori Marras e Satta hanno dimostrato come in realtà la Sielte abbia percepito sempre lo stesso quantum rispetto al subappalto. E pagare operai singoli oppure le ditte “ufficiali” non sottraeva un euro alla società siciliana. Conseguenza logica: senza danno, non c’è raggiro. Vargiu e Mondelli erano parte civile con l’avvocato Gian Marco Mura. La loro versione è smentita dai giudici. A Pinna non resta che chiedere la riparazione per l’eventuale ingiusta detenzione. Salvo ricorso per Cassazione.

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