La Nuova Sardegna

Sassari

Estate rovente in Pneumologia: 3 indagati

di Elena Laudante
Estate rovente in Pneumologia: 3 indagati

A luglio 2010 il Nas piombò in corsia e scoprì che le temperature superavano i 30 gradi

02 settembre 2012
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SASSARI. A sudare di più, alla metà dell’estate 2010, nel reparto di Pneumonogia delle Cliniche, erano gli infermieri e i medici. Nelle loro postazioni il termometro toccava 31 gradi. I pazienti non stavano certo al fresco: in tutte le stanze di degenza, la temperatura media oscillava tra 29 e 30 gradi. Un reparto-forno, dove il 15 luglio di due anni fa erano piombati i militari del Nas, su richiesta degli stessi pazienti, che avevano raccontato loro di quanto può essere difficile sopportare il dolore e i fastidi di una malattia con quel caldo. Era bastata una breve ispezione ai carabinieri per capire l’origine del problema: i ventilconvettori che avrebbero dovuto erogare aria fresca, erano quasi spenti o funzionavano al minimo. Anche perché dentro nascondevano sporcizia e ragnatele.

Per quella estate rovente subita da alcuni pazienti delle Cliniche di viale San Pietro, sotto accusa ci sono tre rappresentanti delle due ditte che gestivano gli impianti e avrebbero dovuto occuparsi della manutenzione del sistema idrico, del riscaldamento e di quello per il condizionamento dell’aria, la Cofely Spa di Roma, e la Climaveneta Spa di Treviso. Per la prima azienda, il sostituto procuratore della Repubblica Gianni Caria indaga su Danilo Migliorini, originario di Oristano, 50 anni, responsabile Cofely per la Sardegna; e poi Sebastiano Saba, 46 anni di Porto Torres, dipendente Cofely che aveva in carico la commessa. Per la Climaveneta indagato è l’amministratore delegato, Carlo Grossi, 56 anni di Lecco. A loro il pm Caria contesta l’ipotesi di inadempimento di contratti nelle pubbliche forniture. Contratto con l’Azienda ospedaliera universitaria, per la prima ditta, scaduto il 31 agosto di quell’anno. Ora i tre indagati, assistiti dall’avvocato Nicola Lucchi, possono chiedere di essere interrogati per spiegare le ragioni di quei picchi di caldo tra le corsie di una clinica. E fornire la loro versione sulla ripartizione delle eventuali responsabilità.

La relazione del Nas, stilata nella comunicazione di reato alla Procura pochi giorni dopo il sopralluogo del 15 luglio, è molto dettagliata. Subito dopo aver constatato, con un termometro a infrarossi, che la temperatura superava il limite massimo di 26 gradi, i carabinieri avevano interrogato i responsabili del servizio tecnico della Aou, che ammettevano come da tempo avessero problemi con gli impianti centralizzati, le condutture idrauliche e le unità periferiche nei reparti di degenza. Inoltre, spiegava l’ingegnere responsabile, nemmeno la società che avrebbe dovuto curare la manutenzione rispettava il contratto.

In realtà, i reparti non erano nuovi a inconvenienti del genere. Già tra il 2009 e il 2010 l’Azienda aveva contestato inadempimenti alla ditta appaltatrice Cofely. Nelle note veniva sottolineato come i relativi «inconvenienti - ricordano i carabinieri - avevano creato e continuavano ad essere causa di disservizi saltuari presso tutte le unità operative, il blocco operatorio e l’impianto centralizzato» dello stabile “stecche bianche”, in viale San Pietro. E precedentemente, la Asl 1 (che allora gestiva quei servizi anche per l’Azienda ospedaliera universitaria), aveva messo in mora la ditta Cofathec (che poi si fonderà con un’altra società, per diventare l’attuale Cofely) che accettava di riparare gli impianti in una transazione extragiudiziale, per un valore di mezzo milione. Ma anche quell’accordo, lamenterà poi la Asl, non sarà rispettato in pieno.

Solo durante il sopralluogo del 15 luglio 2010, dopo il blitz del Nas, i tecnici della clinica avevano scoperto che nel gruppo frigo funzionavano due compressori su tre, e solo per il 50 per cento della potenza: perdevano gas frigorifero. L’altro, invece, era stato spento: era troppo rumoroso.

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