La Nuova Sardegna

Sassari

Pannelli solari su 160 ettari, la protesta del Mejlogu

di Mario Bonu
Pannelli solari su 160 ettari, la protesta del Mejlogu

Cossoine, corteo contro la centrale termodinamica proposta dalla Energo Green. «Renderà sterile una piana tra le più fertili e non porterà occupazione»

05 novembre 2012
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COSSOINE. Intere famiglie con bambini, anziani ultraottantenni, ragazzi mai sfiorati dall’impegno politico e vecchi militanti di nuovo in campo dopo anni di “pantofole”. C’era un po’ di tutto, al corteo di protesta contro la centrale solare termodinamica che la società Energo Green vorrebbe realizzare nella piana fra Cossoine e Giave. Uno degli impianti alimentati da energie rinnovabili (vento o sole) che nel Mejlogu hanno suscitato perplessità e contestazioni, così come sta accadendo un po’ in tutta la Sardegna (vedi l’articolo sotto).

Messaggio alla Regione. C’erano i cossoinesi, soprattutto, ma anche abitanti dei paesi vicini, Giave, Banari, Bessude, Thiesi, tutti uniti per far arrivare la loro voce sui tavoli dove dovranno essere prese le decisioni definitive, quello della Regione in particolare. La manifestazione, che ha visto la partecipazione di più di duecento persone, si è mossa dal Belvedere di Cossoine, con un serpentone di macchine che ha costeggiato i terreni su cui verrebbero installate le migliaia di specchi parabolici della Energo Green.

Due posti di lavoro. Poi è proseguita a piedi, fino a raggiungere gli impianti fotovoltaici di Giave, che hanno offerto una visione di ciò che quel tipo di strutture ha saputo produrre (poco, secondo i contestatori): decine di ettari di ottimo terreno agricolo sommersi di pannelli e acciaio, in cambio di due posti di lavoro, quelli dei vigilantes che presidiano i cancelli della recinzione.

«Rovina definitiva». Così il comitato spontaneo che ha dato vita alla manifestazione ha ribadito la propria ferma opposizione all’intervento, «senza se e senza ma, perché a fronte della definitiva rovina di una piana fra le più fertili del Nord Sardegna, non ci sono contropartite che possano compensare il danno subito».

Terreni di qualità. «Né è in discussione – è stato ribadito – la validità delle energie alternative e del solare termodinamico in particolare, è che quegli impianti vanno realizzati in siti idonei: aree industriali e zone già degradate, non terreni agricoli di prima qualità come quelli fra Cossoine e Giave».

Gli oppositori. L’impianto è proposto dalla Energo Green, una società del gruppo Fintel di Pollenza (Macerata): una mega centrale alimentata dal “solare termodinamico” della potenza di 30 megawatt – al momento l’unica e la più grande in Italia, se si esclude l’impianto sperimentale di Priolo, in Sicilia – su una superficie di 160 ettari, di cui 145 in territorio di Cossoine e quindici in territorio di Giave. Contro la centrale si sono pronunciate le assemblee popolari di Cossoine e Giave, il consiglio comunale di Giave all’unanimità. L’amministrazione di Cossoine e la maggioranza che governa il Comune hanno assunto una posizione di “studio”, mentre l’opposizione si è dichiarata contraria. Si oppongono anche le associazioni ambientaliste Amici della Terra, Gruppo di intervento giuridico, Italia Nostra.

Desertificazione. «A fronte di ricadute tutte da dimostrare – sostengono gli oppositori al progetto – ci sono ben altre contropartite, queste sì pressoché certe che le popolazioni dovrebbero pagare: l’orrendo impatto visivo per i due paesi che si affacciano sulla piana; la desertificazione dei suoli e la loro definitiva sottrazione agli usi agricoli; la probabile captazione delle falde che alimentano i due paesi per ottenere i 450mila metri cubi di acqua/anno necessari per far funzionare l’impianto; la realizzazione di una centrale di supporto a biomasse che non si sa come verrà alimentata; il possibile cambiamento del microclima, per la presenza di 160 ettari di tubi che raggiungono temperature di 550°; il possibile impatto inquinante dei sali fusi e dell’olio diatermico sui terreni; l’impatto sulla fauna (nella zona è tornata a nidificare la cicogna); l’impatto sulle risorse archeologiche della zona».

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