La Nuova Sardegna

Sassari

Massacrò di botte un compaesano: condannato a sette anni

di Daniela Scano
Massacrò di botte un compaesano: condannato a sette anni

Anela, condannato per tentato omicidio Roberto Bulla, il militare che nell’agosto 2011 picchiò brutalmente Franco Bullitta. La vittima è in coma irreversibile da 15 mesi

21 novembre 2012
3 MINUTI DI LETTURA





NUORO. L’accusa era di tentato omicidio ma tutti, nell’aula del tribunale, sapevano che la vittima del reato non si sveglierà più. Franco Bullitta, 45 anni, è vivo solo perché il suo cuore continua a battere. Solo un miracolo potrebbe farlo uscire dal coma irreversibile in cui precipitò la notte del 21 agosto 2011, dopo un pestaggio che gli provocò una decina di fratture craniche. Un massacro avvenuto in una strada centrale di Anela davanti a decine di testimoni che nelle ore successive furono contagiati da una strana forma di amnesia collettiva. Solo dopo un mese di indagini, che a stento squarciarono la coltre di omertà stesa sul paese, i carabinieri individuarono il responsabile del pestaggio e lo arrestarono.

Roberto Bulla, 23 anni, soldato di ferma breve, ieri è stato condannato a sette anni di reclusione dal gup Claudio Cozzella che lo ha processato con il rito abbreviato. Il giovane, che si trova agli arresti domiciliari, ha ascoltato a capo chino la lettura della sentenza che gli concede gli sconti di pena previsti per il rito alternativo e per il riconoscimento delle attenuanti generiche. Roberto Bulla è giovane e incensurato, quindi, secondo il gup, merita di espiare una pena più breve.

Il giudice ha condiviso la tesi accusatoria argomentata dal pubblico ministero Andrea Vacca, ma ha inasprito la pena rispetto alla richiesta di quattro anni e otto mesi. Il giovane soldato ha poi avuto la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici, che in caso di conferma comporta la fine della sua carriera militare. Roberto Bulla dovrà infine risarcire a Franco Bullitta una provvisionale immediatamente esecutiva di cinquantamila euro. La vittima del pestaggio, costituitasi parte civile con l’avvocato Antonio Mereu, è stato rappresentato in aula dalla sorella che è anche la sua curatrice speciale.

La famiglia di Bullitta non ha mai abbandonato la speranza di arrivare alla verità su una brutale aggressione che al principio era stata archiviata come la caduta di un ubriaco. Che la sera della sua aggressione Franco Bullitta avesse bevuto qualche bicchiere di troppo è una delle poche cose emerse a fatica dai vuoti di memoria dei testimoni. Sollecitati dai carabinieri, alla fine una decina di persone ammisero di avere visto l’uomo discutere con Roberto Bulla e poi allontanarsi in via Roma, dopo avere pronunciato qualche frase che tirava in ballo il padre del ragazzo. I presenti hanno anche ammesso di avere visto il giovane soldato inseguire il compaesano e di averlo fatto cadere. La memoria labile dei testimoni si è spenta sul punto centrale del processo: quante volte e con quale violenza Roberto Bulla colpì un uomo inerme per procurargli «lesioni potenzialmente mortali consistite nella frattura scomposta delle ossa nasali – si legge nel capo di imputazione – numerose fratture neurocraniche, molteplici, estese e severe lesioni meningo-encefaliche e una contusione pleuro-polmonare»? Quanto durò il massacro e perché nessuno intervenne per bloccarlo? Interrogativi rimasti senza risposta.

Secondo l’accusa il quarantacinquenne venne colpito alla testa a piedi nudi o con calzature leggere relativamente morbide.

La difesa avrebbe voluto condizionare la celebrazione del rito abbreviato all’esame del medico legale Vindice Mingioni, ma il gup ha respinto la richiesta. Il rito alternativo è stato quindi celebrato solo sulla base degli atti. Al centro della discussione delle parti, com’era ovvio, è finita la volontà dell’imputato di commettere un omicidio. La notte del 21 agosto Roberto Bulla colpì Franco Bullitta per ucciderlo? Il pm e l’avvocato di parte civile non hanno dubbi. Secondo l’accusa pubblica e privata, ancora più dei testimoni reticenti parla proprio la perizia medico legale. Di diverso avviso l’avvocato difensore Giannino Guiso. Secondo il penalista nuorese, quello compiuto da Roberto Bulla fu un atto unico e non una serie di colpi reiterati e di inaudita violenza alla testa. Una versione che non ha convinto il gup.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In Primo Piano

VIDEO

Il sindaco di Sassari Nanni Campus: «23 anni fa ho sbagliato clamorosamente. Il 25 aprile è la festa di tutti, della pace e della libertà»

L’intervista

L’antifascismo delle donne, la docente di Storia Valeria Deplano: «In 70mila contro l’oppressione»

di Massimo Sechi
Le nostre iniziative