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«Banchieri occulti»: imprenditori a processo

di Elena Laudante
«Banchieri occulti»: imprenditori a processo

di Elena Laudante SASSARI Società e cooperative collegate che si scambiavano denaro come se esercitassero «attività bancaria illecita». È questa l’accusa contestata a Luigi Vacca, 51 anni,...

30 novembre 2012
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di Elena Laudante

SASSARI

Società e cooperative collegate che si scambiavano denaro come se esercitassero «attività bancaria illecita». È questa l’accusa contestata a Luigi Vacca, 51 anni, amministratore di imprese che forniscono manodopera in appalto e servizi - in totale, circa 300 dipendenti - alla centrale di Fiume Santo di E.On (estranea al processo).

Si tratta di sette società da lui dirette, più altre due cooperative che invece sono guidate da Rita Fanai, 45 anni, rappresentante della Mywork e della cooperativa Seas, comunque collegate alle altre sette attraverso partecipazioni. Ieri si è aperto il processo davanti al giudice del tribunale di Sassari Luca Buffoni, chiamato a stabilire se quel flusso di soldi - fino a un milione di euro l’anno - girato tra le nove imprese nel triennio 2007- 2009, costituisce un’infrazione alle norme che sanzionano chi replica, in sostanza, l’attività di raccolta di risparmio tra il pubblico. Il reato contestato a Vacca e Fanai è la violazione del testo unico sull’attività bancaria.

Le società di Vacca finite nel mirino della Finanza sono Serfat srl, Serfat cooperativa, Sersar srl, Co.g.e.ma srl, Seas srl, Servizi Industriali Sardi Piccola società cooperativa e S.i.s srl. Alle quali si aggiungono le coop Mywork e S.e.a.s., dirette da Fanai. Secondo gli accertamenti della Finanza, che risalgono a febbraio 2010, al centro dei movimenti c’era soprattutto la Servizi industriali sardi Piccola società cooperativa, che in alcuni anni riceve denaro contante dalle altre - soprattutto Serfat srl e Ser.Sar. srl - per tre milioni di euro, tra il 2007 e il 2009. Nello stesso periodo, sempre la Servizi Industriali Sardi Piccola cooperativa, a sua volta, trasferisce alla stessa Serfat srl somme più limitate, 40-50mila euro. Ma anche mezzo milione a un “beneficiario non identificato”, annotano gli investigatori, fino a un totale di un milione 117mila euro. Non è chiaro se poi questi soldi tornassero nella cassa della legittima proprietaria. Di certo, l’inchiesta nasce il 24 febbraio 2010, quando la Guardia di finanza di Porto Torres va a fare un sopralluogo per trovare riscontro a una fattura, e scopre i movimenti di denaro dalla stessa contabilità. Non sono passaggi occulti, ma effettuati in maniera trasparente con tanto di bonifico bancario. Inizialmente la Finanza contesta - non è chiaro per quale motivo - un’evasione fiscale. Poi l’imputazione diventa quella di “banca di fatto”. La spiegazione di quel flusso di denaro, chiarirà poi il difensore degli imputati, Liliana Pintus, è nelle carte: c’era la necessità di pagare gli stipendi delle singole società in difficoltà quando le commesse venivano saldate in ritardo. Discussione e sentenza il 30 aprile.

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