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carcere e diritti

Detenuti, il giudice chiede l’aiuto dei Comuni

Detenuti, il giudice chiede l’aiuto dei Comuni

Convegno del tribunale di Sorveglianza. Il presidente: «Bisogna reinserire i reclusi»

20 marzo 2013
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SASSARI. Non assistenzialismo, fondi da sottrarre a Comuni già dissanguati da tagli e patto di stabilità. Ma innovazione, idee, pure finanziati da bandi come quello della Fondazione “Con il Sud”, per fare futuro di chi esce dal carcere. Per strapparlo alla recidiva, che risucchia l’ex detenuto in un nuovo reato 7 volte su 10. E che invece si abbatte quasi totalmente - dimostrano le statistiche - se durante la detenzione il recluso inizia a lavorare. Con questo spirito ieri giudici del tribunale di Sorveglianza di Sassari, amministratori locali, assistenti sociali e direttori di carceri si sono confrontati per trovare il modo di dare attuazione ad una legge rimasta lettera morta. La norma concepita nel 2000 (la numero 328) individua un sistema integrato di servizi sociali, che assegna ai Comuni il ruolo di propulsore nell’inventare il futuro delle fasce deboli. «E quale fascia è più debole degli ex detenuti?», ha ricordato il presidente del Tribunale, Antonella Vertaldi, che ha chiamato a raccolta gli enti e chiesto, candidamente, di non «essere lasciata sola», ovviamente nel tentativo di creare lavoro pure per i detenuti. Gli amministratori - presenti i sindaci di Sassari, Lodè, Codrongianos, assessori di Sassari, Alghero, Ossi, assistenti sociali di Banari, Nule, Uri, Nuoro, Bultei - hanno fatto presente che non è la volontà a mancare. Ma anzitutto, le risorse. E poi, forse, un altro ostacolo è costituito dal fattore “culturale”, per dirla col primo cittadino di Lodè, 1.600 anime, franco nel dire che - probabilmente - «se in una zona come la mia dò lavoro a detenuti che vengono da fuori, poi succede il finimondo». Nel senso che presumibilmente - ha ammesso Graziano Spanu - una zona dove la disoccupazione sfiora il 40, 50 per cento, ha forse ben poco da offrire agli ex reclusi. Eppure l’attenzione c’è. Da tempo Lodè manda una bibliotecaria a Mamone, la colonia penale di Onanì, «perché bisogna partire dalla cultura» per far tornare i detenuti nella società.

Gianfranco Degesu, provveditore regionale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ha invece ricordato come in Sardegna, nonostante tutto, la recidiva sia più bassa che nel resto d’Italia. E che l’isola «è stata scelta per ospitare quattro carceri, che sostituiranno le vecchie sedi, proprio per i suoi anticorpi» ad un certo tipo di criminalità, quella mafiosa. «Ecco perché l’arrivo dei detenuti al 41bis non deve spaventare», è stata la conclusione. Difficile attivare la macchina del lavoro dei detenuti all’esterno. Sebbene qui a Sassari, San Sebastiano offra già esempi virtuosi, con quei detenuti che da un anno stanno digitalizzando l’archivio del vecchio carcere di Tramariglio. E altre detenute a breve inizieranno a realizzare gioielli, ha ricordato la garante dei detenuti Cecilia Sechi. Ma bisogna putare su idee innovative, ha ricordato Giampaolo Cassitta, direttore Ufficio detenuti e trattamento Prap. E poi l’assessore ai servizi sociali di Alghero (Romina Caula) e di Sassari (Michele Poddighe) si sono detti disponibili a facilitare l’ impiego di detenuti nella sistemazione dell’archivio della Sorveglianza. (e.l.)

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