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Sassari

Gavino Ledda: «Dobbiamo dire basta ai partiti padroni»

di Pier Giorgio Pinna
Gavino Ledda: «Dobbiamo dire basta ai partiti padroni»

Per lo scrittore, autore di «Padre padrone» è tempo di nuove formazioni: «Penso a ovili della Repubblica dove tutti abbiano compartecipazioni reali» - Commenta

25 marzo 2013
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SILIGO. Gavino Ledda guarda il fuoco che fa sfrigolare i ceppi nel caminetto della sua casa al centro del paese e snocciola una dopo l’altra le sue proposte di cambiamento. «Basta con i partiti padroni, meglio pensare ad altre formazioni: chiamiamole pure “ovili della Repubblica”, l’importante è che non ci siano più proprietari ma persone messe nelle condizioni di svolgere una compartecipazione reale all’attività», dice scandendo bene le parole e ricorrendo alle sue consuete metafore.

«Il termine “partito” non è mi è mai piaciuto – incalza poi – Richiama odio, spaccature. Il suo significato profondo evoca le divisioni alimentate dal diavolo: colui che semina zizzania. Ecco perché è preferibile cominciare a dar vita a una nomenclatura diversa e accompagnarla ad altri mutamenti sostanziali».

Si anima, lo scrittore, per sostenere le sue tesi: mentre parla scuote la folta chioma di capelli ancora nerissimi nonostante i 74 anni. E spiega: «Quando ero all’università, quelli che volevano chiedermi a quale professore e a che schieramento eventuale facessi riferimento, mi domandavano: “Di chi sei?”. Era come se fossi un oggetto posseduto da qualcuno. Beh, io credo che in questi anni i partiti abbiano commesso lo stesso errore metodologico sia al loro interno sia nei rapporti con gli altri. Ormai è arrivato il momento di cambiare».

Già, ma come? «Da pastore e da poeta sostengo che è stata data eccessiva prevalenza all’uomo anziché fare in modo che la politica mettesse al centro di tutto la natura oggi in agonia, quella natura che rischia di morire», chiarisce Ledda. «Io vorrei che quest’impostazione diabolica, infernale, cessasse. E che si desse finalmente priorità a quella che io definisco l’umocrazia, ossia un potere fondato sulla restituzione del suo ruolo originario all’humus, alla terra», afferma l’autore di Padre padrone.

«Ecco perché penso agli ovili della Repubblica: non più società per azioni ma proprietà collettiva, pensati in modo tale da continuare a ricevere finanziamenti pubblici e a gestire il loro lavoro in maniera verificabile : non una casta ma una comunità che agisca nell’interesse dell’intera popolazione italiana», prosegue lo scrittore di Siligo.

«Al di là di ciò che sento dire in queste settimane, quei finanziamenti devono restare: sono una garanzia che a fare politica vengano chiamati non solo i ricchi, i plutocrati, i corrotti, e assicurano che comunque qualsiasi cittadino possa ancora diventare senatore o deputato, rappresentando così altri cittadini», sottolinea Ledda. Che subito aggiunge: «Certo, ogni spesa sostenuta va sottoposta a controllo e alla fine si dovrà fare un rendiconto preciso di ciascuna uscita – prosegue – Se infatti un ovile accettasse fondi extra, poi dovrebbe sdebitarsi. E questo porterebbe alla possibilità di pressioni esercitabili da lobby o gruppi di potere. Anzi, quanto più una nuova formazione accettasse finanziamenti da terzi diversi dalla Repubblica tanto più si porrebbe al di fuori della Costituzione. E così tradirebbe lo spirito per il quale è stato chiamato a esercitare l’azione politica».

Lo scrittore insiste nel suo ragionamento. Cita come esempio negativo i contributi privati dati ai candidati presidenti negli Usa. E, guardando le teste scolpite per raffigurare Leonardo Da Vinci nel suo film “Ybris”, costruite con la trachite rosa di Banari così come il caminetto su cui sono state poggiate, puntualizza: «Se oggi faccio fatica a sentirmi italiano in quest’Italia di partiti padroni, tengo a rimarcare di aver espresso questi stessi concetti già quarant’anni fa nei miei libri. Ma la forza della terra che alimenta le greggi umane deve poter contare oggi su nuovi pastori e nuovi criteri di gestione».

Un’esigenza che richiama le stesse urgenze espresse dal MoVimento di Grillo, allora? «Direi proprio di no – replica Gavino Ledda – Una delle poche cose che mi convince in Cinque Stelle è il fatto che i suoi attivisti siano riusciti a mettere davanti a un bivio il centrodestra e il centrosinistra. Il loro merito, in sostanza, è stato quello di aver spinto Bersani a schierarsi in modo aperto contro l’ipotesi di qualsiasi alleanza con Berlusconi». «Per il resto penso che quel movimento dovrebbe diventare più politico per essere davvero efficace – chiosa lo scrittore – Gli ovili come li intendo io sono centri di scienza politica, di analisi e risoluzione dei problemi della gente. Perché questo e non è altro è sempre stata la politica: da Aristotele in poi, e anche prima di lui».

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