La Nuova Sardegna

Sassari

Mostrò coltello in aula, professore condannato

di Elena Laudante
Mostrò coltello in aula, professore condannato

Nulvi, insegnante della scuola media accusato di minacce: fece vedere la lama a un alunno durante una interrogazione

06 aprile 2013
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SASSARI. Quasi trent’anni di servizio tra i banchi di scuola e un gesto senza senso, durante un’interrogazione, a rovinare tutto. È stato condannato a quattro mesi di reclusione (pena sospesa) l’insegnante della scuola media di Nulvi che aveva mostrato il coltello ad un alunno, in classe, durante un battibecco seguito a una domanda alla quale il ragazzino non aveva risposto.

Giancarlo Nieddu, 68 anni, professore di matematica, ieri ha atteso la lettura della sentenza seduto, da solo, in fondo all’aula del tribunale di Sassari. Aveva spiegato che quel gesto insensato era invece da riferire a un contesto «goliardico», ha ricordato ieri il difensore Giuseppe Lepori, «non si era trattato, di certo, una minaccia». Ma tale è stata la lettura del giudice, Elena Barmina, che ha inflitto una pena più mite di quanto sollecitato dalla pubblica accusa. Il pm Maria Angela Sistu aveva chiesto sei mesi per i reati di minaccia e porto abusivo di arma, per quest’ultima ritenendo giusti 15 giorni di arresto. Ma il giudice si è fermato a 4 mesi; spiegherà le ragioni della condanna nelle motivazioni della sentenza, da depositare entro 90 giorni.

Dal giorno della minaccia, la vita di Nieddu non è più la stessa: dopo quell’episodio era andato via dalla scuola mettendosi in congedo. Insegnava a far di conto da quasi trent’anni, quando nel marzo 2009 aveva rivolto una domanda a un alunno che era seduto al primo banco. Questi non aveva risposto, poi erano intervenuti altri, e allora lui sembrava voler fornire la soluzione al quesito. Ma l’insegnante lo aveva ammonito: ormai era il turno di un altro. E gli aveva detto: «Stai zitto se no ti squarcio». Facendo scattare la reazione del ragazzino, che aveva ribattuto con una domanda retorica: «Perché, ce l’hai il coltello?». E come in un gesto di stizza, lui aveva mostrato la lama che portava con sé anche per usarla in laboratorio, a scuola. L’aveva mostrata al ragazzino che riteneva dovesse stare zitto. Alla vista del coltello, il giovane si era spaventato, poi aveva raccontato tutto alla mamma e alla dirigente dell’istituto. Così, il genitore aveva sporto denuncia. In aula il ragazzino ha ribadito il contenuto della querela. Ma quando sul banco dei testimoni si sono alternati i suoi compagni, il tenore dell’episodio era stato descritto con parole dalle sfumature diverse. «Dopo abbiamo riso tutti assieme, sembrava uno scherzo», avevano riferito i compagni. Ma il coltello era stato mostrato per davvero. E il pubblico ministero lo ha ritenuto sufficiente per ritenere che si sia trattato di una minaccia.

Per la difesa, invece, la scena era tutt’altro che drammatica. «Se venti ragazzi dicono di non essersi spaventati, di non essersi sentiti minacciati, vuol dire che non fu commesso alcun reato», è stato il ragionamento di Lepori, che chiedeva l’assoluzione perché il fatto non sussiste. Ma il tribunale è stato di diverso avviso.

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