La Nuova Sardegna

Sassari

Arcipelago Pd sardo: traslochi in corso

di Umberto Aime
Arcipelago Pd sardo: traslochi in corso

Svanito il correntone Bersani, carte rimescolate, con molti colpi di scena: sabato la prima direzione post terremoto

23 aprile 2013
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CAGLIARI. Addio, Bersani. Il segretario è caduto sul campo e da giorni il Pd, in Sardegna, sbanda più che altrove. Il motivo è presto detto: intorno al Pierluigi nazionale, quando era lui il re, si erano stretti in tanti, quasi tutti, fino a lasciare in fondo alla carovana pochissimi renziani. Basta rileggere le cronache. Nelle primarie per scegliere il premier, a dicembre, da Cagliari a Sassari era stato un trionfo per il correntone bersaniano: 70 a 30, con l’isola compatta nel dichiarare «amore incondizionato» al segretario opposto al rottamatore. Sono bastati pochi mesi, una sola elezione, le Politiche di febbraio, e il recente flop presidenziale nell’aula di Montecitorio e l’incombere delle Regionali, nel 2014, per spazzare via quella che è stata grande passione.

Bersani non c’è più, si è dimesso e il correntone del 2012 appartiene già alla preistoria politica. Certo, la botta è ancora fresca e dolorosa per capire quanti e quali saranno i salti da un fronte all’altro, ma è chiaro che nel Pd, soprattutto in quello sardo, c’è aria di rivoluzione. Non tanto nelle idee, ma nella volontà di cambiar casacca. Da giorni in molti sono pronti a scendere dalla diligenza dello sconfitto, sempre più accerchiata da i pellerossa. C è chi lo farà con stile, altri saranno meno educati e forse neanche saluteranno.

Il caos c’è ed è totale: tanto che il presidente regionale del partito, Valentina Sanna, ha inviato al segretario e senatore Silvio Lai una preoccupata lettera. Non l’ha tenuta segreta, non sono più i tempi della corrispondenza sottobanco, e dunque tutti hanno saputo che «sollecita l’immediata convocazione della direzione regionale» (potrebbe essere addirittura alla fine di questa settimana), perché «non è più possibile – ha scritto il presidente – analizzare i fatti accaduti a Roma solo sui giornali e sui social network. Ora, a noi tutti, deve essere data la possibilità di analizzare i fatti di persona e va presa anche in considerazione l’ipotesi di anticipare il nostro congresso». Era previsto a ottobre, ma gran parte del chiarimento avverrà molto prima, o forse sin dai prossimi giorni se ci sarà la sempre più probabile scissione fra gli oppositori al governo delle «larghe intese» con Berlusconi, e i favorevoli all’abbraccio col Pdl per «salvare l’Italia dal disastro», questa la loro giustificazione. Da oggi e sino alla direzione regionale, sarà per forza un bollettino di guerra, ma c’è da capire come si muoveranno le truppe in campo. Piccoli e grandi eserciti sono destinati a scontrarsi per consumare antiche vendette, oppure riposizionarsi in vista delle Regionali, che rischiano di essere un’altra battaglia. È arrivato il momento del tutti in campo, o meglio ancora del tutti contro tutti.

I bersaniani. Il primo è Silvio Lai, che al segretario è rimasto fedele anche nei giorni del massacro. Già dimissionario dopo essere stato eletto senatore, ora potrebbe farsi da parte subito, ma non è detto. Chi lo conosce bene, dice tutt’altro: il suo essere un grande mediatore, per questo a suo tempo è stato scelto, potrebbe nascondere invece un’aria battagliera. Le sue dimissioni non sono date per scontate, soprattutto se qualcuno ricorda il piglio con cui è uscito dalla bagarre, tutta sarda, post primarie per la scelta dei candidati al Parlamento. Anche allora, come adesso, la base si rivoltò contro la dirigenza per le ingerenze nella composizione delle liste e i troppi ritocchi pretesi da Roma. Bene, in quei giorni Silvio Lai dimostrò di non essere uno di quelli da passo indietro e neanche laterale. Fino a ottenere da Bersani la promessa che per la Sardegna ci sarebbe stato un risarcimento danni (un ministro o due sottosegretari) nel futuro governo di centrosinistra. Ma quel governo è «morto in culla», e nel frattempo la segreteria nazionale si è dissolta. E ora Silvio Lai rischia di finire in solitudine, o semmai affiancato solo dal capolista per la Camera, Emanuele Cani.

I renziani. Da piccoli boy scouts, potrebbero diventare presto un pattuglione: sul carro del vincitore (o del possibile vincitore) salgono sempre in tanti. Bisognerà però vedere come la prenderanno e quali nullaosta concederanno i due finora unici fedelissimi del sindaco di Firenze. Sono i consiglieri regionali Chicco Porcu (Cagliari) e Gavino Manca (Sassari) che potrebbero non aver nessuna voglia di spalancare il cancello agli ultimi arrivati. A meno che fra gli acquisti non ci sia Renato Soru. Questo sì che sarebbe un colpo grosso per Renzi e qualche segnale di avvicinamento c’è già stato. Su La Repubblica di ieri, l’unica citazione del rottamatore per uno che non fosse se stesso, è stata proprio a favore dell’ex Governatore: «Parlavo nei giorni scorsi con Soru – la frase testuale – e mi diceva...». I contatti ci sono stati e questo è evidente, ma i renziani locali – a cominciare da Porcu che da Soru ha divorziato da tempo – pare abbiano subito tirato fuori le unghie e per questo, dicono alcuni, l’ufficialità del nuovo matrimonio potrebbe essere stata rinviata a data da destinarsi.

Cabras e più. L’ex senatore e futuro presidente della Fondazione Banco di Sardegna (incarico contestato da una buona parte del partito) da sempre ha un alto peso specifico nel Pd, dopo averlo avuto nei Diesse, la sua casa madre. Però dicono che dopo essere uscito sconfitto dalle primarie per il sindaco di Cagliari, vinte dall’astro nascente e poi vincitore assoluto Massimo Zedda, Antonello Cabras avrebbe cambiato strategia e ridotto al minimo le apparizioni in pubblico. Comunque, conta ancora e c’è lo immagina di nuovo pronto a ricucire fra le varie correnti se glielo dovessero chiedere soprattutto in un momento decisivo: la scelta del candidato presidente per le Regionali. Potrebbe essere lui, ancora una volta, ad avere il compito di sbarrare la strada alla ricandidatura di Soru.

Chi sta con Franceschini. Di quel gruppo fa parte Francesca Barracciu, europarlamentare e attuale vicesegretario, che il giorno dell’addio al Consiglio regionale, ha detto: «È solo un arrivederci». La sua candidatura nelle primarie di coalizione per la presidenza della Regione è data per certa. E potrebbe anche questa sua discesa in campo uno dei motivi dello scontro fra vecchi e nuovi renziani. Perché i primi vedono bene la nomination di Francesca Barracciu, mentre gli altri (se in quel gruppo confluirà Soru) faranno di tutto per metterla in minoranza.

Chi sta con Letta. I deputati Francesco Sanna e Marco Meloni, eletto in Liguria, sono schierati con chi è indicato fra i possibili vicepremier del governo Pd-Pdl. Sulla loro fedeltà non ci sono dubbi e quindi seguiranno gli spostamenti del loro riferimento romano. Ma anche in questa corrente potrebbero esserci degli arrivi dell’ultim’ora proprio perché Enrico Letta potrebbe rappresentare l’inizio del dopo-Bersani e diversi orfani sarebbero pronti ad accasarsi con lui.

Gli ex Popolari. È il gruppo più numeroso del correntone di un tempo, ma anche quello dove gli intrecci sono molto complicati. Fra loro ci sono Giuseppe Cucca e Gian Piero Scanu che tra l’altro sabato a Olbia sarà anche il primo deputato sardo del Pd dopo-terremoto a parlare con gli elettori, ma anche storici big come Antonello Soro e Salvatore Ladu, l’ex deputato Paolo Fadda, ancora portavoce solitario della minoranza nella segreteria regionale del Pd, e l’attuale presidente della Provincia di Nuoro e primo candidato premier alle Regionali, Roberto Deriu.

Gli scissonisti. Se ci sarà lo strappo, con la sinistra del partito e col ministro Barca, potrebbe passare Giampaolo Diana, oppositore strenuo dell’inciucio. Ma è ancora presto per dirlo: molto, anzi tutto, dipenderà da chi voterà il futuro governo del presidente. Poi comincerà la resa dei conti.

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