La Nuova Sardegna

Sassari

L’OPINIONE: “Ius soli”, all’integrazione non esiste alternativa

Caterina Pes
L’OPINIONE: “Ius soli”, all’integrazione non esiste alternativa

In ogni accenno di superiorità di un popolo su un altro ci sono gli stessi semi che ci hanno condotto al disastro del fascismo, alla follia del nazismo

10 agosto 2013
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Ho presentato una proposta di legge sullo "ius soli" che prevede la possibilità di accedere alla cittadinanza italiana in alcuni casi, che voglio ricordare visto che si continua ad agitare lo spettro leghista dell'invasione di migranti, orde di cavallette pronte a invadere la nostra bella terra. La mia proposta prevede che gli stranieri che siano nati e cresciuti in Italia da genitori che dimostrino di risiedere nel nostro Paese legalmente, possano fare richiesta per divenire cittadini italiani.

Il pericolo di non capire la ratio nella norma sullo "ius soli", cui aggiungo per dovere di precisione l'aggettivo "temperato", è grande e prende forma nelle stesse pieghe della paura di sentirsi insicuri, non protetti, messi in mora dalla minaccia dello straniero. Un modo di pensare che ci ha portati a chiuderci nelle nostre case, a non saper comunicare con il resto del mondo, a guardare l'altro come un fastidio, un problema e mai come un arricchimento, una risorsa. Trovo che continuare ad usare – come ha fatto Ferdinando Camon nel suo recente pezzo sulla Nuova Sardegna – immagini vivissime nella nostra memoria per trattare il tema della cittadinanza sia fuorviante. Sono fotogrammi che tutti abbiamo visto scorrere nei servizi dei telegiornali: i barconi dei disperati, le loro urla sommerse dalle onde, le facce di questi bambini sfiniti dal mare. E' eticamente scorretto agire sulla pietà e sulla compassione per descrivere una situazione che va oltre i nostri valori, siano essi cristiani o laici. Perché il tema della cittadinanza è una bomba pronta a esplodere in ogni momento, perché l'Italia occupa geograficamente e strategicamente la posizione che sappiamo e dunque rappresenta, volenti o meno, il primo approdo per chi nel Mediterraneo fugge da guerre e fame, e infine perché non ci sono altre strade percorribili.

Una soluzione va trovata, ce lo chiede l'Unione europea, ce lo comanda la storia. Vorrei che si smettesse di agitare argomenti dal sapore leghista per mettere in guardia dal pericolo di orde di donne incinte pronte a partorire sul nostro suolo allo scopo di dare un futuro migliore ai figli: anche se fosse così, e non lo è, non vedo come potremmo opporci al naturale ciclo delle migrazioni, che ci ha visti, italiani dei primi del novecento, combattere con le regole di Ellis Island, l'isolotto nella baia di New York che proprio come Lampedusa, ha rappresentato la speranza di un futuro migliore per tanti nostri connazionali. Si dirà che l'America è diversa, è immensa, è un paese che nasce scoperto e colonizzato da altri e dunque il suo dna è profondamente distante da quello italiano, che invece vanta una radicata cultura identitaria. Come se la patente per essere italiani uno se la dovesse conquistare, come se non bastasse parlare la lingua, dimostrare di essere residenti nel nostro Paese da anni e dare alla luce i propri figli nei nostri ospedali, lavorare e pagare le tasse, come se i compagni di banco dei nostri figli avessero meno diritti solo perché «figli di un dio minore». Come se la nascita potesse ancora determinare i nostri destini e noi esseri umani non potessimo cambiarli.

Cosa dovremmo fare allora? Mettere un sistema di patente a punti per ottenere la cittadinanza? Sostenere un esame di lingua e cultura italiana per verificare il tasso di italianità e la propensione dell'immigrato a diventare un nostro concittadino? A me questi discorsi fanno venire in mente le leggi razziali, in ogni accenno di superiorità di un popolo su un altro vedo con chiarezza gli stessi semi che ci hanno follemente condotto al disastro del fascismo, alla follia del nazismo. Sarà per questo che un uomo illuminato come Papa Francesco ha voluto che l'attenzione di mezzo mondo andasse nella piccola isola di Lampedusa, in quel tratto di mare dove lo Stato e l'Europa non arrivano. Per dirci che i cicli del mondo hanno una natura biblica, che se continuiamo a essere inconsapevoli testimoni di un vero genocidio alla fine siamo noi i Caino della storia, perché in fondo ci si può sempre domandare: «Sono forse io il custode di mio fratello?».

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