La Nuova Sardegna

Sassari

Dalla chimica verde nasce un futuro bio

di Luigi Soriga
Dalla chimica verde nasce un futuro bio

L’amministratore delegato Catia Bastioli spiega la filosofia di Matrìca: «Occasione straordinaria di sviluppo per il territorio»

13 settembre 2013
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SASSARI. Il terreno più fertile perché la chimica verde possa attecchire, è quello che presenta contemporaneamente due condizioni: la dismissione industriale e l'abbandono di aree agricoli perché improduttivi.

Il nord ovest della Sardegna ha tutti i requisiti, con la chiusura del Petrolchimico di Porto Torres e con circa 70mila ettari di zone agricole perse dal 1982 a oggi nell'intera provincia di Sassari. Ecco perché Matrìca l’ha eletto a sito ideale in cui tentare di cambiare modello di sviluppo economico: un caso di studio per la chimica verde a livello mondiale. Catia Bastioli, amministratore delegato di Matrica (la joint venture tra Polimeri Europa, oggi Versalis, Novamont ed Eni) ha spiegato a un pubblico di ricercatori e studenti universitari la filosofia della green economy che sta muovendo i primi passi nell'ex polo chimico turritano.

L'occasione è stata offerta dal 35° Convegno Nazionale della Divisione di Chimica Organica della Società Chimica Italiana, organizzato dal Dipartimento di Chimica e Farmacia e dall’Istituto di Chimica Biomolecolare del CNR. A Porto Torres saranno realizzate una centrale a biomasse e una bioraffineria di terza generazione, che prevede l'utilizzo di materie prime agricole per la produzione di bio plastiche, tra le quali sacchetti per la spesa, piatti e posate in mater-bi, materiale biodegradabile. «A Porto Torres è in corso la sperimentazione attraverso l'utilizzo del cardo – ha detto Catia Bastioli – materia prima scelta per due ragioni: la vasta disponibilità di terreni in cui avviare le coltivazioni e il fatto che il cardo non necessita di irrigazione». Ma il cardo (sulla cui sperimentazione a luglio Matrica ha siglato un accordo con Coldiretti) è considerato solo il primo tassello di un processo produttivo virtuoso che evolve in maniera circolare. «A differenza dell'industria tradizionale, che si basa sullo sfruttamento delle risorse in maniera orizzontale e si concentra sulla realizzazione di un singolo prodotto - ha spiegato la Bastioli - la chimica verde si sviluppa attraverso una circolazione continua di risorse, idee e conoscenze. Per questo sarà fondamentale l'apporto dei ricercatori, professionisti radicati nel territorio, del quale conoscono alla perfezione le caratteristiche e dunque le potenzialità e le risorse». Il progetto prevede continue sperimentazioni, attraverso analisi e combinazioni delle materie prime per ottenere produzioni variegate, senza trascurare “neppure una delle infinite possibilità”. La filosofia e' quella del rifiuto zero, perché anche gli scarti saranno oggetto di lavorazioni. Con la finalità di ottenere produzioni locali di altissimo livello tecnologico e a ridottissimo impatto ambientale: un esempio può essere quello dei lubrificanti per motori ottenuti da scarti vegetali, che a Porto Torres potrebbero essere prodotti già dal 2014.

Non meno importante la possibilità' di raggiungere l'autosufficienza limitando le importazioni: è il caso della farina di soia, di cui la Sardegna importa ogni anno 140mila tonnellate. Ma introdurre una rivoluzione copernicana, un modello di sviluppo a sistema in un territorio abituato a convivere con gli scenari e le logiche l’industria pesante, è molto complicato: «Il progetto dovrebbe essere visto come una straordinaria occasione di impulso economico, occupazionale e dai risvolti ambientali importanti – ha detto Catia Basioli – Ma perché i risultati siano positivi, devono crederci con forza tutti i soggetti coinvolti. Finora ad essere sinceri le difficoltà a far decollare il progetto sono state superiori alle aspettative. Sapevamo che ogni territorio ha la sua storia e le sue ferite, e quella di Porto Torres è molto sofferta».

Pesa molto l’eredità di Eni, le centinaia di speranze di riconversione e rilancio disilluse. I cittadini ormai diffidano di fronte alle panacee e fiutano facilmente odor di fregatura. I dubbi sulla chimica verde ancora persistono e riguardano l'effettivo potenziale della coltura del cardo. Anche l’introduzione di una monocoltura estensiva, sul versante dell’impatto ambientale, lascia qualche perplessità.

Ma la paura più diffusa è sempre un’altra: riguarda la possibilità che in futuro, nel caso il cardo dovesse rivelarsi un flop, la centrale a biomasse possa essere utilizzata per bruciare rifiuti tradizionali. L'ipotesi però è sempre stata respinta con decisione dai responsabili della joint venture. In altre occasioni i dirigenti di Matrica avevano sottolineato anche i ritardi nella procedure, i tempi lunghi per ottenere un'autorizzazione da parte delle istituzioni: il primo accordo risale al 2009, poi sino al 26 maggio 2011, giorno della firma del protocollo d’intesa non è stato fatto nulla. E anche adesso il progetto non corre così spedito. Ci sono tanti tavoli di confronto, (dalla Provincia, alla Regione, alle associazioni di categoria...) tutti piccoli, e nessuno complessivo capace di affrontare in maniera globale la questione.

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