La Nuova Sardegna

Sassari

Vandi, gli agenti e i galoppini della droga

di Luca Fiori
Vandi, gli agenti e i galoppini della droga

Al via il maxi processo per il narcotraffico dietro le sbarre. La Dda: «Poliziotti e compagni di cella agli ordini di un boss»

17 ottobre 2013
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SASSARI. Un colabrodo in cui entrava droga in continuazione e in mille modi diversi. Con un detenuto che, non solo gestiva il traffico di stupefacenti tra le celle, ma aveva il potere di decidere i trasferimenti degli altri carcerati da un braccio all’altro dell’istituto di pena e «piazzare» i suoi uomini di fiducia nei punti strategici, per avere sempre tutto sotto controllo. Per far questo Pino Vandi, sassarese di 50 anni, ritenuto il boss di un’organizzazione dedita allo spaccio dentro e fuori dal carcere, avrebbe beneficiato dei favori di alcuni agenti della polizia penitenziaria e della manovalanza di sette detenuti fidati e di altre 34 persone tra reclusi, ex detenuti e familiari.

Le rivelazioni del pentito. Questo era il carcere di San Sebastiano secondo la Direzione distrettuale antimafia di Cagliari e Pino Vandi era a capo dell’associazione a delinquere che avrebbe fatto filtrare droga tra le celle almeno fino al 2008. L’inchiesta della Dda, partita dalle dichiarazioni del “superpentito” Giuseppe Bigella, il portotorrese condannato per due omicidi - la gioielliera Fernanda Zirulia (2005) e il detenuto Marco Erittu (2007) - e ora teste d’accusa al processo-bis in Corte d’assise per la strana morte in cella, aveva scoperchiato un pentolone dal quale erano emerse modalità di approvvigionamento dall’esterno delle mura, distribuzione ai detenuti e consumo della droga in carcere. Ieri mattina nell’aula della corte d’Assise di Sassari si è aperto il processo per i quaranta detenuti finiti nella maxi inchiesta sulla cocaina e l’eroina fatte filtrare a San Sebastiano nei modi più impensabili. Presenti buona parte degli imputati, la corte d’Assise si è rivelata troppo piccola per contenere tanti detenuti, accompagnati da decine di agenti di polizia penitenziaria. Il processo sarà lungo e articolato e ieri dopo la lettura dell’elenco degli imputati è stato rinviato alla prossima settimana. Il pm della Direzione distrettuale antimafia Alessandro Pili dovrà convincere il collegio, presieduto da Salvatore Marinaro, che quella di San Sebastiano era una vera e propria associazione a delinquere.

Il ruolo dei familiari. Secondo le indagini della Dda la droga sarebbe entrata per anni all’interno del carcere dentro maialetti e agnelli cucinati e portati dai familiari ai cari reclusi in cella, ma anche all’interno di pomodori, arance e panini. Agli atti dell’inchiesta ci sono i verbali di altri tre collaboratori di giustizia oltre a Bigella, che descrivono modalità di approvvigionamento e lanciano accuse precise a tre agenti di Polizia penitenziaria (Antonio Maria Santucciu, Giovanni Battista Calvia e Antonio Del Rio, tutti in congedo) che avrebbero preso ordini dal boss Pino Vandi e in alcuni casi, tra il maggio del 2007 e il settembre del 2008, addirittura portato droga in carcere allo stesso Vandi.

Consegne settimanali. «Con cadenza delle consegne - si legge nel campo d’imputazione contestata a Del Rio - di circa due settimane, con quantitativi variabili dai 5 ai 20 grammi di cocaina e di eroina». A luglio di quest’anno per Santucciu è caduta l’accusa di concorso esterno nella presunta organizzazione di spacciatori e il Gup di Cagliari Giuseppe Pintori lo ha condannato a due anni di reclusione con la sospensione condizionale della pena, nonostante la richiesta a otto anni di carcere avanzata dal pm Giovanni Porcheddu.

Ordini al comandante. Santucciu era stato il comandante degli agenti tra il 2004 e il 2007 e in quel periodo avrebbe permesso a Pino Vandi di fare in carcere il bello e il cattivo tempo. Non solo «avrebbe informato in anticipo Vandi e i suoi uomini dei controlli nelle celle e omesso di effettuare controlli sui familiari ammessi ai colloqui con i detenuti, in modo da agevolare l’introduzione della droga. A far quadrare il cerchio dopo i racconti di Bigella - secondo la Direzione distrettuale antimafia di Cagliari - sarebbero le testimonianze di due pentiti napoletani, Pasquale Cozzolino e Giovanni Brancaccio, e di un maghrebino, Kabbab Khalid. Per gli inquirenti, Santucciu avrebbe fatto entrare tra le celle droga, persino armi intere o smontate, “strumenti da taglio”, telefonini per i detenuti. E sarebbe stato a disposizione di Vandi anche nella attività all’interno del penitenziario, accontentandolo e «sistemando» i suoi uomini.

Lo scrivano e il bibliotecario. Così aveva con Nicolino Pinna, oggi con Vandi imputato al processo per la morte in cella di Marco Erittu. Pinna era diventato scrivano sebbene non ne avesse i requisiti. Grazie a quell’incarico poteva parlare con chiunque e avere una ampia libertà di movimento. E lo divenne «su insistenza di Santucciu», secondo la Dda in una delle informative finali agli atti dell’inchiesta. Durante una perquisizione all’ex ispettore era stata sequestrata la lettera di un detenuto che segnalava l’imminente ingresso di droga, grazie alla complicità di Del Rio. Un testimone, un suo collega, racconta di aver ricevuto dallo stesso detenuto almeno dieci lettere che segnalavano flussi di stupefacente. E di averle consegnate a Santucciu, come proverebbe la lettera sequestrata. Ma secondo il teste, l’ex comandante non le aveva mai consegnate alla procura. Vandi poteva contare anche su Pietro Saba, conosciuto come il Conte, che aveva la mansione di bibliotecario, Mario Iacono e lo stesso Giuseppe Bigella, “spesini”, cioè i reclusi che giravano tra le celle per raccogliere le richieste di acquisto al sopravitto, Mario Salvatore Sanna e Antonio Pilo (lavoranti in cucina) e infine Salvatore Mulas e Giampaolo Vacca (lavoranti in lavanderia). Secondo la Dda, gli uomini di Vandi potevano circolare liberamente tra i vari bracci, ricevere le ordinazioni e consegnare la droga. Con la complicità di chi avrebbe dovuto vigilare.

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