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Sassari

Gabrielli ai sindaci: «Basta con le accuse»

di Silvia Sanna
Gabrielli ai sindaci: «Basta con le accuse»

Allarme tardivo e poco chiaro? Il capo della Protezione civile non ci sta «L’avviso è stato dato per tempo e annunciava un rischio elevato»

22 novembre 2013
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SASSARI. Ci sono sindaci bravi e sindaci meno bravi, ci sono Comuni e Regioni che funzionano e altri che invece vanno a rilento. La Sardegna sta più o meno a metà, nella classifica immaginata dal capo del Dipartimento della Protezione civile Franco Gabrielli. Che ad alcuni sindaci, quelli che hanno denunciato un allarme tardivo e poco chiaro sulla gravità di quello che sarebbe potuto accadere, risponde di non mentire, perché «nel 2013 un avviso di allerta come quello del 17 novembre era stato emesso soltanto un’altra volta. E anche in quel caso annunciava elevato rischio idrogeologico, il massimo della gravità prevista».

Sedici morti e un uomo ancora disperso, città e paesi immersi nel fango, economia in ginocchio. Che cosa è successo in Sardegna?

«L’isola è stata colpita da un evento di portata eccezionale. La gravità era stata annunciata dagli avvisi di allerta: la Protezione civile e la Regione hanno fatto il loro dovere, comunicando tempestivamente le informazioni agli enti del territorio».

Ricordiamo le date e gli orari.

«Abbiamo inviato il comunicato alla Regione alle 14.12 di domenica 17 settembre, la direzione regionale della Protezione civile lo ha diramato ai Comuni alle 16.20: l’avviso segnalava elevato rischio idrogeologico per la giornata successiva in diverse zone dell’isola».

Come avviene la comunicazione tra la Regione-direzione Protezione civile e i Comuni?

«Avviene per fax e attraverso un sms inviato al sindaco e ad altre figure istituzionali».

Alcuni sindaci dicono che l’avviso era troppo generico e non faceva intuire la portata del fenomeno alluvionale.

«Ho saputo che alcuni sindaci hanno detto di avere ricevuto avvisi di elevata criticità, come quello di domenica 17, almeno altre 20 volte nel corso dell’anno. Ho verificato: l’unico precedente risale al 28 febbraio. Gli altri avvisi annunciavano situazioni di criticità moderata, certamente da non sottovalutare ma meno preoccupante».

Sarebbe dovuto bastare questo per allarmarsi e correre ai ripari?

«Si, perché il sistema di prevenzione funziona soltanto se dopo gli avvisi c’è una reazione».

In Sardegna che tipo di reazione c’è stata?

«Alcuni sindaci si sono subito attivati, c’è chi ha avuto un comportamento esemplare. E c’è chi ha fatto quello che ha potuto».

Chi è stato bravo?

«Il sindaco di Monti. È stato perfetto: appena ricevuto l’avviso di allerta ha emesso un’ordinanza di evacuazione. Nel suo paese nessuno si è fatto male».

Significa che chi non ha ordinato alla popolazione di lasciare le case e non ha chiuso le scuole ha agito male?

«No, perché le situazioni devono essere valutate caso per caso. Nei piccoli centri, come Monti appunto, è più semplice stabilire un’evacuazione. In grandi città, come Olbia, è decisamente più complicato. Capita spesso che la gente non obbedisca o che, se l’allarme meteo si rivela infondato o meno grave del previsto, la comunità poi se la prenda con il sindaco».

Olbia piange 9 vittime. L’amministrazione comunale a suo giudizio ha sottovalutato l’allarme?

«Il sindaco Giovannelli ha attivato subito il protocollo previsto e ha avvisato la cittadinanza attraverso mass media e social network. È stato bravo e anche corretto, perché non si è mai nascosto e non ha mai scaricato colpe su altri. Non ha ordinato l’evacuazione perché, ripeto, nelle grandi città è difficile. A Olbia poi la situazione è stata complicata dalla conformazione del territorio, che presenta diverse criticità».

Non sarebbe più semplice, per maggiore sicurezza ma anche per evitare polemiche, stabilire che a un avviso di criticità elevata, cioè massima, debba seguire un’ordinanza di evacuazione?

«Non è possibile, devono essere i sindaci a fare le valutazioni, perché conoscono meglio di chiunque i loro territori e i punti deboli. Io dico semplicemente questo: se non si vuole rischiare allora è meglio cautelarsi al massimo. Ma è importante che la gente lo capisca: la decisione di allontanare le persone dalle loro case non deve essere vissuta con fastidio, significa che il sindaco ha paura per la loro vita. Ma sull’argomento purtroppo non c’è sensibilità».

Che significa?

«Quando parlo con i sindaci, dico spesso che sicuramente sono subissati dalle richieste e dalle lamentele dei loro concittadini: non c’è lavoro, la scuola dei figli cade a pezzi, i servizi sono inefficienti. Ma nessuno fa una domanda fondamentale: il Comune è dotato di un piano d’emergenza in caso di calamità naturale? Se c’è un’alluvione, un incendio o un maremoto, sappiamo dove metterci al riparo?»

In Sardegna 144 Comuni su 377 non sono ancora dotati di alcun piano d’emergenza.

«Appunto. È una nota dolente, dolentissima. I piani di protezione civile non rappresentano una priorità. Non per i cittadini e di conseguenza neanche per molti sindaci che non sono invogliati a interessarsene. A meno che a spingerli non sia la loro personale sensibilità. La maggior parte rimanda o accampa scuse».

Molti sindaci dicono che elaborare un piano non è semplice e che servono soldi per pagare i consulenti.

«Non è vero. Conosco tanti sindaci che non si sono rivolti a esperti o consulenti e hanno fatto un buon piano. Anche in Sardegna, per esempio nel Medio Campidano, dove c’è una bellissima realtà di Protezione civile e operano amministratori molto sensibili sui temi di sicurezza e prevenzione».

Quanto sono importanti i piani d’emergenza?

«Sono fondamentali, perché tanto più la comunità è preparata ad affrontare e a resistere alla calamità, tanto più può permettersi di aspettare l’arrivo degli aiuti esterni che non possono essere lì immediatamente».

In Sardegna la Protezione civile è spesso nel mirino: l’estate scorsa dalla Gallura fu denunciato l’arrivo in ritardo dei Canadair durante un grave incendio.

«Accetto le critiche, il sistema è perfettibile. Ma oggi, come allora, sfido chiunque a dirmi dove ho sbagliato».

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