La Nuova Sardegna

Sassari

«La Deledda ha inventato un modo nuovo di fare letteratura»

di Marcello Fois
«La Deledda ha inventato un modo nuovo di fare letteratura»

Ottanta anni fa la scrittrice veniva insignita del Nobel. L’intervento di Marcello Fois

11 dicembre 2013
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Il rapporto tra un autore e il suo territorio dipende strettamente da questa forma di tutela o, al contrario, di pregiudizio che gli si forma attorno. Quando l’incomprensione deriva dalla necessità ridimensionante di un apparato culturale che ha più a cuore di apparire allineato, che informante, allora può prendere corpo, come nel caso della Deledda, quel paradosso di autore che viene messo ai margini quanto più si afferma di volercelo togliere. I fiumi d’inchiostro prodotti in Sardegna che la riguardano esprimono in tutto quel sentimento, per noi ahimé non solo letterario di esporre “come trofei le proprie sconfitte”.

Una donna scrittrice. All’apparenza la Deledda appare barbaricinamente tenacissima nel suo intento di diventare scrittrice, il che basterebbe da solo a chiarire quale fosse la portata del suo progetto culturale prima che letterario; tuttavia di tale progetto non si fa mai cenno: l’intento deleddiano è definito nell’ambito di una presunta caratterialità livorosa, e virilista, – cardine dell’inganno matriarcale– , della femmina nuorese. Con ammiccamenti malcelati si prospetta un progetto che progetto non è; quasi che una donna che volesse contravvenire al suo destino di serva imperatrice, nemmeno tanto bella, incapace di relazionarsi con la realtà che la circondava, troppo presuntuosa per accettare l’ineluttabile, non avesse altra strada che diventare scrittrice e cioè una che aveva un sacco di tempo da perdere. E che, in questa soluzione parassitaria, avesse trovato persino modo di agire una forma di rivalsa nei confronti di tutti coloro che l’avevano isolata, insultata, fraintesa. Sarebbe a dire mettere in piazza quelle faccende che avevano un significato orale, quindi volatile, quindi emendabile, e renderle scritte, quindi stabili e terrene, quindi inemendabili. I nuoresi sanno che dopo la Deledda non saranno più gli stessi, sanno cioè che l’apparato di storie che li riguardano li porteranno al centro del palcoscenico, li faranno rappresentativi il che sarebbe una manna se potessero controllare in che modo questa rappresentatività viene esercitata. Tuttavia questo controllo non lo possono avere: la letteratura non è la Pro Loco, per quanto spesso, in Sardegna, le due cose si confondano. La critica si adegua. Non si prende la briga di spiegare che la letteratura non ha il dovere della verità e che non è altrettanto consolante come una sfilata in costume dove appariamo sempre belli e azzimati. Tuttavia, peritandosi di dimostrare fino a che punto la Deledda si ponga al centro del dibattito europeo del suo tempo, la fa minuta, inconsapevole, cadetta, eteroformata.

Un fenomeno a tenaglia da cui pare impossibile liberarsi. Nessuno che si sforzi di considerare i dati di fatto: Grazia Deledda ha la percezione dei grandissimi e capisce che il suo talento maggiore consiste proprio nel saperlo nutrire quel talento: sa di avere la scrittura in corpo e si impone di capire in che modo possa farla scaturire.

La forma romanzo, la narrativa scritta, in Sardegna iniziano con la Deledda. Prima della Deledda esiste un pensiero letterario eteronomo; esiste cioè un modo di scrivere, di pensare la letteratura, ma non esiste un’idea, una concezione “originale” della Sardegna all’interno di quel pensiero e di quell’idea.

Sardegna e letteratura. Certo Enrico Costa aveva fatto delle cose straordinarie. Sotto molti aspetti Il muto di Gallura rimane, dal mio punto di vista, uno dei romanzi più belli di quel periodo.

Ma Enrico Costa era un autore troppo spinto verso quella che io definirei una sorta di dipendenza da modelli altrui, di giustificazionismo da figlio cadetto, ed anche di una tendenza all’esotismo e al colonialismo accondiscendente, sino alla promozione turistica vera e propria. Lui è il progenitore, peraltro nient’affatto sterile nell’isola, alcuni suoi pronipoti letterari ancora continuano a pubblicare, di quell’idea di Sardegna che del luogo mutua la superficie, ma non la sostanza. E tuttora, l’abbiamo detto, l’accademia locale continua a preferirne l’innocuità.

Ecco, la Deledda non ha questo problema. Lei scrive, ma non deve dimostrare nulla. Né, tanto meno, vuole fare anticamera per vagliare il suo patrimonio di storie da raccontare nel setaccio delle storie “raccontabili”. Tutto ciò di cui viene, ancora oggi, incredibilmente, accusata a posteriori l’ha inventato lei: è la Deledda non il deleddismo E’, diventa, un’autrice importante perché, affrancata dal desiderio di assomigliare a categorie altre, lavora per costruirla lei una categoria propria e assolutamente specifica. Si tratta di una scrittrice autodidatta, di una scrittrice che impara scrivendo e leggendo. Il che nella Nùoro a cavallo ra ‘800 e ‘900, ancora arcaicamente prechirografica, non significa quasi mai provenire da una condizione di analfabetismo, a meno che non si voglia, per l'appunto, giudicare un luogo, e la sua cultura, a partire da categorie che non gli appartengono. Le prove della Deledda sono difformi, quanto più diventa matura, tanto più l’intreccio diventa complesso, la scrittura diventa sapiente. Insomma ci sono una serie di questioni che si mettono a punto nel tempo e questo mettere a punto nel tempo specifica un’altra categoria della Deledda come autore a crescere, autore che si pone continuamente dei problemi anche rispetto al mondo contemporaneo e sempre li risolve partendo dal nucleo che conosce, che è quello più importante per lei.

Gli autori sardi e la Deledda. Io ho avuto modo di dire in varie occasioni, l’importanza che riveste per me la Deledda e credo che sia l’importanza che debba rivestire per gli autori sardi in generale, sta proprio in questa forma di sistemazione manzoniana della forma romanzo in Sardegna. La Deledda sta alla narrativa sarda, o fatta in Sardegna, o con argomento sardo, esattamente come Manzoni sta alla narrativa italiana. Anche lei progetta e sviluppa un prodotto che è insieme filosofia e linguaggio, tecnica e arte, non è solamente una storia, non è solamente un romanzo ma è il frutto di due spinte potentemente concatenate: quello che si è e quello che si sa. Da sé al lettore, seccamente. (…)

A Nuoro la Deledda dovrebbe essere una voce attiva del prodotto interno lordo, senza le riserve di chi si accontenta della celebrazione inevitabile.

La sua figura dovrebbe essere affidata a studi coraggiosi, con investimenti importanti che non si risolvano in emolumenti sporadici e spesso casuali (…). Sono un deleddiano, fieramente, perché nuorese, fieramente. Non un deleddista, perché da lei ho imparato un sentimento che è molto casalingo, e che, per quanto mi riguarda, è il nucleo di questa coincidenza tra l’identità letteraria e la mia personale identità geografica e culturale. E cioè l’idea che volenti o nolenti rimaniamo sardi dappertutto. A prescindere da quello che predicano alcuni scrittori e accademici sardi, o pseudo tali, io credo che non ci siano dubbi sul fatto che, come aveva preconizzato la Deledda, tutti continuiamo, e continueremo, a dovere alla Sardegna più di quanto la Sardegna debba a noi.

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