La Nuova Sardegna

Sassari

«Lavoravo per gli ultimi e ora sono ultima anch’io»

di Nadia Cossu

Le lacrime di Gavina, 48 anni, un passato come assistente in una casa di riposo «Faccio il giro dei palazzi e chiedo di poter lavare le scale. Io spero ogni giorno»

22 dicembre 2013
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SASSARI. Gavina è lucida e fredda quando racconta il suo dramma. Ha il viso truccato anche se la sua pelle non avrebbe bisogno di ciprie e ombretti: 48 anni di difficoltà non hanno lasciato solchi profondi, almeno non sul volto. Ma a un certo punto crolla, toglie l’armatura e si lascia andare. E succede quando parla dei suoi nipotini di 8 e 3 anni: «Mi sento impotente, arriva Natale e non posso comprare un regalo ai bambini. Mia figlia ha detto che non devo preoccuparmi ma io non ce la faccio, non è giusto». È vero, non è affatto giusto che una nonna non possa regalare un sorriso ai propri nipotini, è persino quasi innaturale.

Gavina ha lavorato per tanto tempo in una casa di riposo, ha sempre pensato di esser nata per assistere le persone non autosufficienti, gli anziani, i più deboli: «Era come se l’avessi sempre fatto – racconta – Per questo ho pianto quando sono stata costretta ad andare via. Hanno pianto insieme a me anche le persone che ogni giorno lavavo, gli ospiti a cui davo da mangiare, con cui parlavo». Lo ripete all’infinito che lei non vorrebbe «soldi gratis» e quando parla con i servizi sociali del Comune (che per quanto possibile la sostengono) chiede sempre «un qualsiasi lavoretto». Ma non è semplice «e non è facile nemmeno mettere da parte la dignità e andare a bussare ai portoni dei palazzi per sapere se hanno bisogno di una donna che pulisca le scale». Da ragazzina lo faceva insieme a sua madre e lo rifarebbe anche oggi: «Io sarei felicissima se riuscissi ad avere dieci euro al giorno, mi permetterebbero di vivere serenamente, di comprare ciò di cui ho bisogno, mi eviterebbero di dover chiedere al dottor Meloni anche la bombola del gas». Purtroppo è costretta a chiedere anche il pane. Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, lei è in fila insieme ad altre centinaia di persone: «Anche il mio compagno è disoccupato, stiamo cercando ovunque un piccolo impiego ma finora non siamo riusciti». Gavina però non vuole rinunciare a sperare: «A volte penso che impiccarmi sia la soluzione migliore, ma non ho il coraggio di farlo. Io spero ogni giorno che cambi qualcosa, non per me ma per i miei figli, i miei nipoti, i giovani in generale. I politici non possono più prenderci in giro in questo modo».

Poco più in là, nella calca di corso Margherita, c’è una 34enne, si chiama Gavina anche lei, separata, tre figli di 15,10 e 5 anni e l’ex hotel Turritania diventato la loro casa: «Li sto allevando da sola tra mille sacrifici. Assistevo gli anziani, ora vogliono le qualifiche, non c’è spazio per noi». Che Natale sarà? «Per fortuna i miei bambini non hanno pretese, mi hanno detto: “Mamma se non hai soldi per i regali non fa nulla”. Il cuore ti si spezza quando senti dire queste cose». Per fortuna c’è la Casa della fraterna solidarietà: nel pomeriggio erano lì anche loro, i figli di Gavina, in fila per ricevere i giocattoli. La famosa busta rossa.

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