La Nuova Sardegna

Sassari

Termodinamico, gli anziani del paese: «Non ci provate»

di Emidio Muroni
Termodinamico, gli anziani del paese: «Non ci provate»

Bonorva, scalda gli animi il megaprogetto nella piana «Provarono già nel ’45 a portarci via la terra e fallirono»

02 gennaio 2014
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BONORVA. Parlare con gli anziani del paese di produzione di energia pulita, di termodinamico, di specchi parabolici, di collettori, di centrali d’accumulo, è solo tempo perso. «Per costruire un futuro migliore, secondo il solco tracciato dall’esperienza degli antichi saggi, osservano, è necessario non ripudiare il passato, né stravolgerlo, ma attingere a quanto di buono ci ha proposto».

È il principio fondamentale sostenuto da tanti anziani che s’incontrano nella sede sociale che l’amministrazione ha messo a loro disposizione per trascorrervi alcune ore in libertà. Hanno amato fortemente la terra, con la quale hanno condiviso lunghe ore di fatica e sudore in un contatto che ha indurito le ossa e la pelle ma che, con la generosa produzione di alimenti copiosi e genuini li ha sempre ricompensati. Anche la storia dà loro ragione. L’Angius, nel suo “Dizionario geografico, storico, statistico e commerciale degli statuti di S.E. il Re di Sardegna”, ricorda che il paese era impegnato nelle attività agricole, la cultura fondamentale era il grano e la pastorizia.

Un’altra parte del lavoro riguardava la coltivazione dell’orzo, delle fave, delle altre leguminose e degli ortaggi, la cui produzione era favorita dalla presenza di sorgenti che scorrevano abbonanti e per la gran parte perenni. Altra attività era la viticoltura, che contava su una notevole produzione di vini, seppure di media qualità, e di numerosa varietà di frutta. Uno spaccato delle attività passate che è interessante ripercorre seguendo il filo della memoria di chi per tanti anni ha consumato gli anni per costruire una famiglia ed operato a stretto contatto con la terra. «Una terra che abbiamo riconquistato all’utilizzo originale, con sacrifici enormi, ha osservato un vecchio contadino. A molti di noi è costata anche l’esperienza del tavolaccio di una prigione».

Una lotta per la difesa di un terreno da coltivare e dal quale trarre il sostentamento per la famiglia e che oggi invece potrebbe essere affidato, con troppa faciloneria, a società che vogliono lucrare su un bene che la natura ci ha donato, con i suoli fertili che, fino a qualche anno fa, grazie alle copiose messi che vi si producevano, avevano meritato titolo di “granaio della Sardegna”.

La notizia della richiesta di esproprio da parte di società multinazionali per uno sfruttamento, con l’uso di specchi parabolici, collettori, torri d’accumulo e mostri d’altro genere, colpisce duramente la sensibilità della gente, pronta ancora una volta a ribellarsi ad una situazione d’esproprio che sembra ripetere le vicende del 1945. «Ora come allora difenderemo con tutti i mezzi la nostra terra e la nostra autonomia di scelta - ha quasi urlato uno dei più anziani contadini -. I nostri paesani, l’avvocato Giuseppe Manai, nel 1900, i coniugi Bicchiri, (che ci regalarono anche l’ospizio attualmente abbandonato, e di cui sarebbe bene riparlare), e Nicoletta Chiara Maria Ruggiu, nel 1959, ci hanno donato, per la lavorazione, oltre trecento ettari di terreno fertile e pianeggiante che dovranno essere utilizzati per la destinazione originale, e così dovrà essere».

Il ricordo più forte va proprio al 1945-46, quando i contadini erano quasi tutti affittuari, pagavano ai proprietari affitti elevati e spesso alle famiglie non rimaneva nulla da mangiare. L’esasperazione, nell’ottobre del 1946, spinse 500 persone, per la seconda volta, all’occupazione delle terre che portò ad uno scontro con i militari e all’arresto di undici persone che un anziano ci ricorda: “Serafino Muroni, Antonio Campus, Costantino Carta, Giuseppe Carta, Giuseppe Faedda, Giovanni Idili, Antonio Mura,. Giommaria Pintore, Antonio Pisanu, Giuseppe Pische e Nicolò Tidore”.

Fu un periodo di grande sofferenza che si chiuse con un successo e le terre furono assegnate.

Quanti hanno versato sulla terra il sudore della fronte e in essa riconoscono la possibilità di un avvenire per i propri figli, sperano che quegli avvenimenti non si ripetano, prevalga il buon senso, e si allontanino coloro che, speculando sulle necessità della gente, si mascherano da ricchi e munifici proprietari per invadere e devastare il territorio con le proprie macchine (autentici ecomostri), per un’innaturale trasformazione e annullamento dei tesori archeologici e testimonianze esistenti, perfettamente leggibili e visitabili.

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