La Nuova Sardegna

Sassari

Sorso, il Tar rintraccia la vigna fantasma

di Salvatore Santoni

Il Tribunale amministrativo dà ragione alla società Laser, cui la Regione aveva negato l’esistenza dei terreni da coltivare

22 gennaio 2014
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SORSO. Aveva chiesto alla Regione una variazione di potenziale vinicolo dopo aver estirpato e reimpiantato, nel 2003, circa 15mila metri quadrati di vigna in località Badde Pira - nell’agro di Sorso - ricevendo un diniego inspiegabile dagli uffici preposti: oggi, a distanza di circa dieci anni, a dargli ragione è arrivata la sentenza 48/2014 del Tar. Il ricorso proposto dalla Laser Srl di Sassari, rappresentata da Paolo Fresu, è partito nel 2005 ed è arrivato a sentenza favorevole solamente pochi giorni fa. Nel 2012, lo stesso fazzoletto di terra ha ricevuto l’oscar della Camera di commercio di Asti. L’azienda aveva stipulato un contratto d’affitto dei terreni con alcuni proprietari di Sorso per gestire oltre due ettari di vigneti fino ad allora abbandonati.

Quando Fresu, nel 2003, decise di estirpare la vigna vecchia di 50 anni per provvedere a reimpiantare oltre 3.200 nuove barbatelle, arrivò lo stop del Servizio ripartimentale dell’agricoltura di Sassari. Nell’occhio del ciclone sono finite le ortofotografie fatte dalla Regione dal 2008 in poi, dalle quali - secondo gli uffici - non era possibile stabilire la preesistenza delle colture, mentre il giudice amministrativo non è dello stesso avviso. «L’amministrazione dal canto suo cerca di dimostrare l’inesistenza del vigneto da estirpare attraverso il deposito di fotocopie di scadente qualità», si legge nella sentenza firmata dal presidente Francesco Scano e dai consigliere Tito Aru e Antonio Plaisant. E ancora: «A fronte di una puntuale perizia tecnica di parte (della Laser Srl), la prova contraria proposta dall’amministrazione sia del tutto inconsistente». In particolare, i giudici sono convinti che proprio che le ortofotografie depositate dalla Regione dimostrino il contrario di quanto sostenuto dalla stessa amministrazione. E lo spiegano in modo minuzioso, analizzando le singole ombreggiature nelle copie presentate dalla difesa e snocciolando competenze da agricoltori consumati. L’avvocatura della Regione poco ha potuto di fronte alla determinazione dei giudici del Tar. «Sono molto soddisfatto della sentenza favorevole ma ancor più perché non ho dovuto distruggere quello che credo essere una ricchezza del territorio - racconta Fresu -, io che conosco e sono appassionato del moscato ho scelto infatti di investire tempo e denaro per salvaguardarlo, dato che in zona pare che stia scomparendo. Ora finalmente sono passati dieci anni e bgiustizia è stata fatta».

La tenacia di Fresu sembra esser stata ripagata: ha investito in qualità in un periodo in cui gli imprenditori vitivinicoli sono costretti a inseguire il mercato investendo ad esempio su vermentino o cannonau, considerati economicamente più redditizi. «Ho estirpato una vigna che aveva oltre cento anni, abbandonata a se stessa in mezzo alle erbacce, piantando circa 9mila barbatelle di moscato che nel 2012 sono state premiate dalla Camera di commercio di Asti con l’oscar di numero uno d’Italia», conclude Fresu. «La riferita prassi degli uffici appare, quindi, del tutto arbitraria e contrastante con la disciplina comunitaria, con quella dettata dalla giunta regionale e, in ultima analisi, con l’interesse della Regione alla conservazione del potenziale produttivo del settore vitivinicolo», conclude la sentenza condannando la Regione al pagamento di 2.500 euro di spese processuali, oltre che annullando tutti gli atti impugnati.

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