La Nuova Sardegna

Sassari

Falsi alimenti biologici, nella rete anche tre sardi

Falsi alimenti biologici, nella rete anche tre sardi

Tra gli arrestati un agronomo sassarese, amministratore unico della Biozoo Srl, nei guai anche un produttore di Tula

01 febbraio 2014
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di Gianni Bazzoni

SASSARI. C’è anche un agronomo sassarese tra le nove persone arrestate dalla guardia di finanza nell’ambito dell’operazione «Vertical Bio» per frode in commercio nel settore agroalimentare biologico. Si tratta di Carlo Sechi, 49 anni, amministratore unico della Biozoo Srl, che ha la sua sede nazionale in città, in via Chironi. Il professionista si trova ai domiciliari, così come Antonio Becciu di Tula, un produttore che gestisce dei terreni in Moldavia e Roberto Lilliu di Carbonia ma residente a Trieste. Oltre alle persone raggiunte dalle misure cautelari - per le quali è stata ipotizzata l’associazione internazionale a delinquere - ci sono altri 35 indagati.

Secondo l’accusa, sarebbero state illecitamente immesse in commercio sul mercato europeo circa 350mila tonnellate di falso “bio” per un valore che si aggira attorno ai 120milioni di euro. Ai responsabili sono stati sequestrati beni per 35 milioni di euro. Sechi (difeso dall’avvocato Monica Maciotta) e Becciu saranno interrogati giovedì a Sassari (per rogatoria) dal gip Giuseppe Grotteria. Il produttore di Tula, sarebbe la stessa persona che con la mediazione di Stefano Detassi (che risulta coinvolto nell’inchiesta) fece arrivare in Sardegna - nel porto di Oristano - una nave carica di mais destinata a un consorzio di allevatori sardi. La merce venne posta sotto sequestro (a dicembre) perchè deteriorata.

L’operazione è stata portata avanti dalla guardia di finanza di Pesaro con l’Ispettorato repressione frodi e la collaborazione del Corpo forestale dello Stato. Le indagini hanno preso il via due anni fa. La tesi è che operatori inseriti nel settore dei prodotti da agricoltura biologica, insieme a importatori e certificatori, abbiano messo in piedi un sistema collaudato di frode che comprendeva anche la Sardegna. I prodotti sarebbero stati importati, in partiolare, da Moldavia, Ucraina e India: si tratta di granaglie destinate al comparto zootecnico e, in alcuni casi, all’alimentazione umana (soia, mais, grano tenero e lino), «falsamente certificate come “bio” per poi rivenderle nell’ambito della Comunità europea, a un prezzo ben superiore, ad aziende all’oscuro di tutto».

Il nome in codice del presunto capo dell’organizzazione era «maestro Joda», un ultrasettantenne di Comacchio, molto rispettato dagli affiliati. Le fiamme gialle sostengono che i responsabili della frode avrebbero commercializzato prodotti dichiarati come biologici mentre in realtà - in alcuni casi - sarebbero stati ottenuti con il contributo di organismi geneticamente modificati (Ogm), quindi contaminati con principi attivi chimici vietati in agricoltura biologica (in particolare il diserbante glyphosate e brachizzanti come il clormequat).

Dall’attività investigativa sarebbe emerso che le società italiane coinvolte nell’inchiesta – coordinata dal sostituto procuratore di Pesaro Silvia Cecchi – controllassero le realtà imprenditoriali anche dal punto di vista tecnico e finanziario, gestendo la relativa certificazione biologica rilasciata dagli organismi di controllo . L’accusa è aggravata dalla transnazionalità del reato commesso a danno di un prodotto di qualità regolamentata.

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