La Nuova Sardegna

Sassari

Peste suina, guerra lunga quarant’anni tra tentativi falliti e controlli difficili

di Alessandro Pirina
Peste suina, guerra lunga quarant’anni tra tentativi falliti e controlli difficili

La prima volta in cui è stata segnalata in Sardegna era  il 16 marzo 1978, il giorno del rapimento di Aldo Moro.

17 maggio 2018
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SASSARI. La prima volta in cui è stata segnalata in Sardegna correva il 1978. Esattamente il 16 marzo 1978, il giorno del rapimento di Aldo Moro. Da quarant’anni la peste suina africana infesta le campagne sarde. Da quarant’anni è il grande male contro cui lottano allevatori, veterinari e politici. La prima comparsa della peste suina risale al 1921, in Kenia. Trent’anni dopo sbarca in Europa, per la precisione in Portogallo, attraverso scarti alimentari provenienti dall’Africa. La Psa fa strage di maiali e cinghiali in tutta le penisola iberica.

Nel 1978 l’epidemia arriva in Sardegna: la prima segnalazione in un’azienda del cagliaritano, i cui maiali erano stati nutriti con scarti di carne arrivati dal Portogallo all’aeroporto militare di Decimomannu. Poco dopo la Psa fa la sua comparsa nel Nuorese. Un anno dopo scatta l’embargo sui maiali sardi: il ministero vieta l’esportazione di porcetti, salsicce e prosciutti. Un colpo durissimo per il “made in Sardinia”.

La Regione si attiva subito per combattere contro la peste delle campagne: nel 1982 vara il primo piano di eradicazione. In 10 anni vengono abbattuti circa 90mila suini, ma l’assenza di collaborazione degli allevatori, il mancato pagamento degli indennizzi previsti e la quasi impossibilità di fare rispettare il divieto di pascolo brado comportano il fallimento del piano.

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Dieci anni dopo la Regione ci riprova con un piano da 40 miliardi di lire, meno drastico e più concentrato su misure di tipo sanitario. I risultati arrivano, cala il numero dei focolai, numerose aziende scelgono di mettersi in regola e parti di territorio vengono risanate, ma alla fine del ’97 si segnalano nuovi episodi tra Orgosolo, Fonni e Desulo. Gli allevatori si oppongono agli abbattimenti, le autorità non riescono a imporsi e così in poco tempo vigilanza e regole perdono la loro incisività. La situazione ritorna dunque al periodo pre 1992: aziende clandestine, pascolo brado fuori controllo e vigilanza sanitaria ridotta al minimo. Nel 2004 una nuova epidemia che porta a 17mila abbattimenti, in particolare nel Nuorese. L’anno successivo una seconda interessa soprattutto l’Oristanese. Intanto la Commissione europea decide di finanziare solo piani di eradicazione e non di soli controllo e sorveglianza delle malattie, quali erano i piani approvati dal 2000 in poi. Uno stop che costringe l’isola a ripartire daccapo.

Intanto, però c’è chi in Europa il problema è riuscito a risolverlo. In Spagna e Portogallo la peste suina africana è stata sconfitta all’inizio degli anni Novanta con una politica molto restrittiva dell’allevamento allo stato brado e un costante monitoraggio sanitario. Un successo che ha riaperto il mercato ai prodotti suinicoli iberici, su tutti il prosciutto spagnolo, diventato uno dei salumi più apprezzati del mondo. Tra gli artefici di quel successo contro la Psa c’è anche Josè Manuel Sanchez Vizcaino, docente dell’università veterinaria di Madrid, tra i massimi esperti al mondo di peste suina africana, padre della eradicazione della Psa in Spagna, Cile e altri paesi dell’America Latina.

Ed è a lui che nel 2014 decide di rivolgersi l’assessore alla Sanità, Luigi Arru. La Sardegna è uno dei luoghi in cui ancora è più diffusa insieme a Russia, Ucraina, Lituania e Polonia. L’obiettivo dell’Unità di progetto guidata da Vizcaino è debellare la malattia entro pochi anni, anche se nell’isola, rispetto alla Spagna, l’ostacolo principale si chiama pascolo brado. Quattro anni dopo la parola fine sulla Psa non è stata ancora scritta, ma la missione di Pigliaru a Bruxelles sta a dimostrare che quel traguardo questa volta potrebbe essere davvero a portata di mano.
 

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