La Nuova Sardegna

Sassari

Femminicidio, niente sconti in tribunale

Daniela Scano
Femminicidio, niente sconti in tribunale

No ai benefici del rito abbreviato: lo sconto di un terzo della pena non dovrebbe essere concesso - IL COMMENTO

29 dicembre 2018
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Bisogna fare qualcosa. Per Michela, per Maria, per Anna, per Monica e per tutte le altre. Per le vittime della strage delle donne: in Italia una ogni settantadue ore. Per i “femminicidi bianchi” delle disperate che si tolgono la vita pur di sottrarsi a una quotidianità avvelenata dalla violenza e dalla sopraffazione. Per le innumerevoli potenziali vittime che vivono nel terrore di ciò che potrebbe accadere, ma non hanno la forza o il coraggio di andare via. Oppure restano, ma soltanto perché non hanno un altro posto dove andare.

Per quelle che se ne vanno, ma dopo devono guardarsi alle spalle ogni momento della giornata perché “lui” potrebbe essere lì, pronto a colpire. Bisogna fare qualcosa per tutte le donne che stanno pagando e hanno pagato un prezzo troppo alto a uomini rapaci e violenti.

La violenza di genere è un fiume carsico che scorre nelle viscere di una cultura maschilista, alimentata da genitori che non hanno mai detto un solo no ai figli maschi e che non hanno insegnato alle figlie a pretendere il rispetto e a rispettare se stesse.

Quindi, fermare la strage delle donne è impossibile? Lo Stato ha fatto tanto ma evidentemente non abbastanza. Ha inasprito le pene, ha codificato in un’unica condotta persecutoria reati che fino a qualche anno fa erano considerati poco più di marachelle. Invece le ingiurie e le minacce, i pedinamenti e gli schiaffi molto spesso erano antefatti di morte. Lo Stato si è mosso nella direzione giusta ma le donne continuano a morire, per mano degli uomini, apparentemente senza che nessuno possa prevedere il tragico epilogo. Nonostante la legge, spesso le istituzioni arrivano quando è troppo tardi.

Per fermare la strage c’è tanto da fare. Per prevenire nuovi femminicidi bisognerebbe inoculare dosi massicce di educazione al rispetto nei gangli vitali della cultura millenaria che attribuisce i ruoli maschile-femminile, paterno-filiale, marito-moglie. Il rispetto è l’unico antidoto al veleno che fa considerare a certi uomini la donna come un oggetto da possedere, da umiliare e da uccidere se si ribella. Il rispetto di sé è la più efficace arma che una donna può spianare, fin dal primo gesto, contro l’uomo che non le porta rispetto. La cultura del rispetto (e il suo contrario) si impara tra le mura domestiche, soprattutto da bambini/e assistendo alle dinamiche della coppia genitoriale. Se un uomo e una donna si rispettano, difficilmente il loro figlio e la loro figlia diventeranno un carnefice o una vittima.

Il cammino verso la fine della strage di donne è ancora lungo e irto di incrostazioni antropologiche. Nel frattempo bisogna fare qualcosa di più, almeno sotto il profilo della sanzione e della certezza della pena. Un femminicida ha diritto, come tutti gli altri imputati, di avvalersi di quel rito alternativo del processo che si chiama “giudizio abbreviato”. Il giudice decide allo stato degli atti oppure dopo una integrazione probatoria. Il vantaggio del giudizio abbreviato è che, in caso di condanna, l’imputato ha diritto a uno sconto di pena pari a un terzo. In caso di ergastolo, la condanna massima con l’abbreviato è di trent’anni di reclusione che in caso di buona condotta diventano al massimo 24. Per ogni anno di carcere, infatti, un detenuto che si comporta correttamente ha diritto a tre mesi di liberazione anticipata. Significa che su trent’anni, c’è uno sconto garantito di sette anni e mezzo.

In teoria un femminicida può essere condannato all’ergastolo anche con il giudizio abbreviato. Questo accade solo se il giudice infligge all’imputato l’ergastolo con l’isolamento diurno. La sottrazione di questa pena accessoria porta al carcere a vita, ma si tratta di casi rarissimi. Nella generalità dei processi, se non può negare ciò che ha fatto, anche il più efferato femminicida prende la scorciatoia processuale dell’abbreviato con i suoi sconti di pena garantiti.

In attesa che cambi la cultura dei rapporti di genere, aspettando l’avvento dell’epoca del rispetto, sarebbe il caso che il femminicidio entrasse nel codice penale come una figura autonoma di reato esclusa da qualsiasi beneficio processuale e da qualsiasi rito alternativo. Per Michela, per Maria, per Anna, per Monica e per tutte le altre.

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