La Nuova Sardegna

«Racconto una terra forte e coraggiosa come mia nonna Irma»

di Grazia Brundu
«Racconto una terra forte e coraggiosa come mia nonna Irma»

Vanessa Roggeri e le donne del suo mondo incantato. Venerdì in edicola con il giornale “Fiore di fulmine”

18 aprile 2018
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Ama definirsi «una sarda nuragica», così racconta una Sardegna intessuta di leggende e di folklore, ma per niente indifferente allo scorrere della Storia. Nata e cresciuta a Cagliari, laureata in Relazioni Internazionali, Vanessa Roggeri ha esordito per Garzanti nel 2013 con “Il cuore selvatico del ginepro”; poi sono arrivati “Fiore di fulmine” – da venerdì in edicola con la Nuova nella collana “Scrittori di Sardegna” – e “La cercatrice di corallo”. Ambientati tutti e tre nella prima metà del secolo scorso, hanno in comune l’anticonformismo delle protagoniste: giovani donne portatrici di una diversità fisica o spirituale che può essere dono o maledizione, e che è sempre, comunque, motivo di conflitto con la società, con le aspettative e le regole imposte dalla famiglia.

Vanessa, come nasce la tua idea di Sardegna e di un certo tipo di femminilità che ne è quasi la personificazione in termini di fierezza e indipendenza?

«Sicuramente nella mia decisione di scrivere ha influito mia nonna materna Irma. Da bambina mi piaceva ascoltare i suoi racconti: lei era originaria del paese di San Basilio, a sessanta chilometri da Cagliari, aveva quattro fratelli e una sorella; sua madre, la mia bisnonna Giulia, era rimasta vedova quando era puerpera del sesto figlio e aveva dovuto fare dei grandi sacrifici. La mia bisnonna – come alcuni dei miei personaggi - ha conosciuto il significato della solitudine all’interno della famiglia: i suoi parenti più benestanti, infatti, non sono stati generosi con lei che, pur di sfamare i figli, per un periodo girava perfino a piedi per la Trexenda in cerca di uova da rivendere. Era una donna stimata per la sua forza e il coraggio. Fin da piccola mi affascinava questa Sardegna d’altri tempi, che aveva a che fare con tante difficoltà, compresa quella di mangiare tutti i giorni, ma trovava motivo di gioia nelle piccole cose».

Che ruolo hanno, invece, le leggende e il folklore nei tuoi libri?

«Nel primo romanzo, “Il cuore selvatico del ginepro”, per la protagonista, Ianetta, nata con una malformazione e per questo considerata una strega e rifiutata dalla sua famiglia, ad eccezione della sorella Lucia, sono partita da leggende che ho sentito raccontare sulle “cogas”. Poi ho cercato di penetrare il cuore di questi racconti popolari per capire come sono arrivati a noi attraverso i secoli, come segno del sincretismo religioso tipico degli ambienti rurali».

Anche Nora, la protagonista di “Fiore di fulmine”, è a suo modo una “diversa”. È una “bidemortos”, ha cioè – secondo la tradizione - il potere di vedere i defunti. Essere diversi è un dono o una maledizione?

«Nora è l’eco di tanti racconti che ho sentito fare ed è la rappresentazione letteraria di una vera “bidemortos” che ho conosciuto e che mi ha influenzato al punto da volere questo dono per la mia protagonista. Le “bidemortos” – o i “bidemortos”, c’erano anche gli uomini – facevano paura non tanto perché potevano portare messaggi dai defunti, ma perché avevano la capacità di percepire chi sarebbe morto da lì a poco. Questo metteva il terrore nel paese e per Nora all’inizio questa sua specialità, che la fa andare oltre le apparenze, percepire ciò che gli altri non vedono, è un marchio difficile da portare».

Per diventare davvero se stessa e accettare la propria diversità come un dono, Nora dovrà emanciparsi dai condizionamenti esercitati dalla famiglia. Lo stesso accade anche alle altre protagoniste dei tuoi libri. Ianetta, Nora e infine Regina possono essere lette come diversi stadi di una crescente consapevolezza?

«In effetti le mie protagoniste compiono un percorso di crescita da un libro all’altro, per uscire da un determinismo dettato dalla società o dalla famiglia. Quest’ultima a volte può essere un vincolo che rischia di strozzarti se non riesci a pensare con la tua testa, con il tuo cuore e a scegliere da te la tua strada. Nel mio ultimo libro, “La cercatrice di corallo”, Regina si sottrae all’influenza paterna di Fortunato, che vede nella figlia quasi una sua estensione, non un individuo autonomo ma qualcuno che deve realizzare ciò che lui non è riuscito a fare nella vita».

Ad aiutare Nora, in “Fiore di fulmine”, arriva invece Donna Trinez, un personaggio che in parte si ispira alla figura di Francesca Sanna Sulis, imprenditrice della seta e benefattrice vissuta a Muravera nel Settecento.

«Sì, una donna straordinaria che si sta finalmente riscoprendo. È una delle tante donne sarde che hanno precorso i tempi, come Adelasia Cocco, primo medico condotto in Sardegna e la prima a prendere la patente, o la stessa Grazia Deledda che ha vinto un Nobel contro tutto e contro tutti. Hanno fatto tutte qualcosa di straordinario, ed è quello che voglio per i miei personaggi».

Nei tuoi romanzi alla fantasia fa da sponda la realtà storica: come convivono?

«Le mie storie partono da fatti documentati. In “Fiore di fulmine”, sullo sfondo c’è la storia dello sfruttamento delle miniere in Sardegna e per poter scrivere di Monte Narba, che si trova a un paio di chilometri da San Vito, ho dovuto documentarmi anche sulle altre miniere dell’isola. Da una documentazione minuziosa, nello stesso libro, è nata anche la descrizione della Cagliari della Belle Époque. Mi rammarico solo di non aver inserito una nota in fondo al libro, perché qualcuno ha pensato che io sia stata influenzata da certa letteratura anglosassone, mentre invece a Cagliari allora si respirava davvero una certa atmosfera internazionale».

Una nota che invece hai inserito ne “La cercatrice di corallo” per documentare come si svolgeva la pesca dell’oro rosso fino a metà del secolo scorso.

«Sì, la documentazione è stata ancora più minuziosa. Sullo sfondo dell’innamoramento tra Achille e Regina e della rivalità tra le famiglie, dovevo raccontare una storia – quella del corallo – che si è sviluppata soprattutto nella riviera di Alghero e che non mi apparteneva perché io sono nata a Cagliari. Sono partita da qualcosa che all’inizio non conoscevo e che poi mi ha talmente catturata da farmene innamorare».

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