La Nuova Sardegna

“La Nuova” tra passato e sfide per il futuro

Costantino Cossu
“La Nuova” tra passato e sfide per il futuro

Dal 5 maggio parte un progetto di rinnovamento che affonda le sue radici nelle vicende storiche della testata

01 maggio 2018
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Dopo la chiusura decisa dal regime fascista nel gennaio del 1926, La Nuova torna in edicola nel dopoguerra il 27 aprile del 1947. A dirigerla è Arnaldo Satta Branca, lo stesso direttore che aveva coraggiosamente resistito al regime mussoliniano. Dopo il ventennio nero e il conflitto mondiale il mondo è cambiato.

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Il fascismo ha dato in Italia una risposta regressiva alla crisi dei sistemi liberali della seconda metà dell’800 e dei primi del ’900 e all’avvento della società di massa. Con la Repubblica e con il ritorno della democrazia, in Italia lo scenario è radicalmente mutato. In campo, al posto delle vecchie formazioni politiche postunitarie ci sono i grandi partiti popolari: la Democrazia Cristiana per la galassia cattolica, il Psi e e il Pci per il mondo del lavoro salariato delle fabbriche e delle campagne. L’Italia è ancora un paese prevalentemente rurale, con un’industria debole e un quadro di rapporti sociali fortemente segnato dal peso della proprietà agraria e della rendita fondiaria.

NUOVO INIZIO

Arnaldo Satta Branca, figlio di Pietro, uno dei fondatori della Nuova, viene per formazione dall’Italia postunitaria. Fa parte del notabilato borghese progressista che sino alla prima guerra mondiale si era contrapposto ai ristretti circoli dirigenti della destra e della sinistra storiche di matrice risorgimentale. La proprietà del giornale è frazionata tra alcune delle famiglie più influenti della borghesia laica e progressista, la stessa di cui era stata espressione la testata delle origini. È un mondo che, nonostante il fascismo e la guerra, resta ancorato ai valori del liberalismo elitario di fine ’800 e dei primi del ’900. Niente di strano, quindi, che la Nuova riapparsa in edicola nel 1947 tenga nei confronti dei partiti di massa – Dc, Psi e Pci – un atteggiamento diffidente e a tratti ostile. Una linea sulla quale Satta Branca era supportato da un giornalista di fine scrittura, Aldo Cesaraccio, redattore capo sino al 31 marzo del 1971, data in cui Satta Branca va in pensione lasciando la direzione al suo più stretto collaboratore, che la mantiene sino al 1974. Dal 1948 al 1974 Cesaraccio firma con lo pseudonimo di “Frumentario” una rubrica quotidiana molto letta, “Al caffè”, che commenta con sottile ironia i principali accadimenti della vita cittadina.

DERBY SASSARESE

Non contenta della Nuova, troppo indipendente nel suo distacco postrisorgimentale rispetto al sistema di potere dei partiti, la Dc a Sassari ha messo in campo un suo giornale, “Il corriere dell’isola”, che va in edicola dal 1947 al 1957. La battaglia tra le due testate è molto dura. Alla fine il derby sassarese dell’informazione è vinto dalla Nuova. Fattori determinati del successo sono la maggiore indipendenza e la maggiore professionalità rispetto al concorrente. La Nuova ha una tiratura intorno alle 15.000 copie, la maggior parte vendute a Sassari, il resto in Gallura e nel Nuorese.

GRANDI CAMBIAMENTI

Dal 1947 al 1957 la Sardegna vive una stagione di grandi trasformazioni. La Riforma agraria cambia i rapporti sociali nelle campagne. Nello stesso tempo nasce un acceso dibattito sull’urgenza di favorire, attraverso un Piano di rinascita finanziato con fondi pubblici, lo sviluppo industriale e infrastrutturale di una regione che è tra le più povere d’Italia. Nel confronto tra Dc da una parte e Psi e Pci dall’altra, la Nuova si avvicina progressivamente alle posizioni della Dc; in particolare agli indirizzi politici espressi da quella parte della partito cattolico che si riconosce in Antonio Segni, che nel 1962 è eletto presidente della Repubblica. Quando maturano le condizioni politiche per la nascita del primo centrosinistra, nel 1963, La Nuova si schiera sulla linea di opposizione che la destra Dc (e Segni in particolare) tiene rispetto all’ipotesi di una collaborazione di governo tra la Dc e il Psi.

ARRIVA ROVELLI

Nella seconda metà degli anni Sessanta viene avviata l’idustrializzazione dell’isola. La Nuova, che nel frattempo si è allineata su posizioni di centrosinistra, ospita il dibattito sulla creazione dei “poli di sviluppo”, che poi diventano realtà attraverso la nascita delle concentrazioni petrolchimiche della Sir-Rumianca di Nino Rovelli a Porto Torres e della Saras della famiglia Moratti nel sud. Rovelli diviene uno dei protagonisti della vita non soltanto economica della Sardegna. Nel 1967 l’industriale lombardo acquista La Nuova rilevando per intero le quote delle diverse famiglie sassaresi. E due anni dopo, attraverso un prestanome, assume anche il controllo dell’altro giornale isolano, l’Unione Sarda. Per la Sardegna inizia una stagione di monopolio petrolchimico nel campo della carta stampata che crea problemi molto seri di indipendenza dell’informazione e forti tensioni all’interno delle redazioni, in particolare alla Nuova. Rovelli per un certo periodo, sino al 1971, lascia la direzione del giornale al vecchio Satta Branca e poi, sino al 1974, Cesaraccio. Il giornale – nonostante i condizionamenti indebiti della proprietà – cresce in diffusione, arrivando a una tiratura media intorno alle 35.000 copie. Dopo comincia una fase oscura, con direttori che più che giornalisti sono manager della Sir-Rumianca. Un tentativo di reagire è quello messo in atto nel 1974 da un gruppo di redattori (alcuni dei quali provenivano dalla Nuova) con la fondazione di un terzo giornale, Tuttoquotidiano, che però chiude quando nella proprietà entra, in posizione maggioritaria, Flavio Carboni, che porta la testata alla bancarotta.

CESSIONE A CARACCIOLO

Quando nel 1980 il gruppo Sir-Rumianca fallisce, tutti i beni, tra cui la Nuova, sono affidati a un Consorzio bancario di salvataggio che decide di vendere il giornale. Si fanno avanti in tre: Carlo Caracciolo, editore dell’Espresso e della Repubblica, la Finsar della famiglia di imprenditori edili sassaresi Bozzo e la Società generale commerciale di Romano Comincioli. La spunta Caracciolo, che acquista la testata per una somma di due miliardi e novecento milioni di lire.

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Per la Nuova è una svolta. Non soltanto perché entra a far parte, insieme con altre testate regionali e cittadine, del team di giornali locali creato da Mario Lenzi su mandato di uno dei maggiori gruppi editoriali italiani, ma anche perché la nuova proprietà è espressione di un gruppo imprenditoriale che agisce secondo criteri prevalenti di professionalità e di redditività aziendale. Un editore puro. Caracciolo investe in una nuova tipografia e la Nuova passa dalla composizione a caldo (con il piombo e le linotype) alle tecnologie digitali. La redazione cresce in organici e la direzione è affidata a un giornalista di vaglia proveniente dal Corriere della Sera, Luigi Bianchi, che la tiene sino al 1983. Come linea editoriale, un indirizzo laico e progressista in qualche modo vicino a quello della testata delle origini. A Bianchi seguono Alberto Statera (1983-1986), Sergio Milani (1986-1991) e Livio Liuzzi (1991-2005). Poi il giornale è guidato da Stefano Del Re (2005-2010), da Paolo Catella (2010-2013) e da Andrea Filippi (2013-2017). Negli anni Novanta, quando tutto il Gruppo L’Espresso passa a Carlo De Benedetti in seguito alla “guerra di Segrate” con Silvio Berlusconi, il giornale arriva a tirature che toccano le 90.000 copie. Una crescita trascinata dalle edizioni plurime (una per ogni provincia). Una scelta che, insieme con le sinergie di gruppo e con la forte attenzione dedicata alla cronaca minuta delle realtà locali, si rivela una carta vincente.

ULTIMO CAPITOLO

Nel dicembre del 2016 l’ultimo capitolo: il Gruppo l’Espresso dà in affitto per tre anni La Nuova all’editore milanese DB Information. Scelta conseguente alla fusione tra il Gruppo e la Stampa di Torino, con l’obbligo, imposto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, di cedere o di affittare testate per evitare una concentrazione editoriale di dimensioni non consentite. Nel dicembre del 2017 alla direzione arriva Antonio Di Rosa. Per il giornale è una nuova sfida, che da sabato 5 maggio si concretizzerà in un progetto di rinnovamento con più inchieste, nuovi inserti, più servizi utili, più approfondimenti nelle cronache locali. E una nuova veste grafica.

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