La Nuova Sardegna

“La luna del pomeriggio” 

Vivere dietro le sbarre: le storie dei detenuti raccolte da Gelsomino

di Ottavio Olita
Vivere dietro le sbarre: le storie dei detenuti raccolte da Gelsomino

C’è una frase, terribile, che troppo spesso sentiamo pronunciare di fronte ad un crimine che ci colpisce particolarmente: «Che lo rinchiudano e buttino via la chiave». “La luna del pomeriggio”, il...

15 dicembre 2018
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C’è una frase, terribile, che troppo spesso sentiamo pronunciare di fronte ad un crimine che ci colpisce particolarmente: «Che lo rinchiudano e buttino via la chiave». “La luna del pomeriggio”, il bellissimo volume di racconti di detenuti curato da Giovanni Gelsomino, è la più diretta, umana, sensibile dimostrazione che quella frase andrebbe cancellata per sempre. E con quella frase andrebbe definitivamente eliminato l’ergastolo ostativo.

Il libro è un manifesto dell’umanità, dell’amore, della voglia di migliorarsi che c’è in ognuno di noi, anche in chi per periodi più o meno lunghi è costretto dietro le sbarre. La raccolta di racconti parte con la cronaca. Nessuna mediazione giornalistica, che spesso, per il narcisismo di chi scrive, stravolge i fatti. Nessun tentativo di autogiustificazione. Nessun alibi di “errore giudiziario”.

Parole dirette, schiette, sincere che narrano modalità di arresti e ingressi in carcere. Poi lo spazio per la riflessione, articolata per temi. E da lì comincia la grande sorpresa.

Chi di noi si è mai chiesto, ad esempio, quale trauma deve affrontare il detenuto che, una volta costruita una rete di socializzazione all’interno di una o più celle dello stesso istituto penitenziario, viene mandato in un’altra sede dove dovrà ricominciare tutto daccapo? Fino al dramma di quell’anziano padre che parte dalla Puglia per raggiungere il figlio rinchiuso all’Ucciardone di Palermo, perché prima di morire vuole abbracciarlo un’ultima volta, e non lo trova perché trasferito in un’altra sede che gli agenti non possono rivelargli. Al figlio resterà solo una lettera scritta prima di morire da quel padre che avrebbe voluto incontrarlo. E cosa ne sappiamo di come i detenuti vivono il tempo, che di cronologico non ha più nulla e che per loro è solo psicologico? Ma le sezioni del libro nelle quali si trovano parole di grande forza, che spingono alla comprensione e alla commozione, sono quelle intitolate “Ne è valsa la pena?” e “Cosa ho imparato dal carcere”.

Tutti i narratori, con le loro differenze di stile, di cultura, di approccio alla vita dimostrano una sincerità palpabile, non convenzionale. E forniscono un dato che non viene mai citato da chi non vuole mostrare alcuna disponibilità a ragionare su cosa è e come dovrebbe essere il sistema carcerario italiano. A pagina 152 in risposta alla domanda “Scrivete su come vi ha cambiato il carcere” si legge: «Tutti, nel farlo, ci sforziamo di trovare, di sviscerare i sentimenti più ordinari e triviali, di cercare le parole più strazianti. Mentiamo. Mentiamo e la prova sta nel fatto che dopo aver scontato la pena ci ritroviamo a delinquere. L’Italia, con oltre l’87 per cento dei casi, ha l’indice di recidiva più alto d’Europa». Altrove, nel Nord Europa in particolare, dove il carcere è volto realmente al recupero di chi ha sbagliato, le percentuali di recidiva sono molto più basse. La coscienza dell’errore commesso è presente in tutti i racconti. Cosa servirebbe allora per cercare una strada di recupero?

“La luna del pomeriggio” è il risultato di un’operazione coraggiosa e meritoria che ha coinvolto anche l’istituzione carceraria, almeno quella parte che ritiene urgente e possibile un qualche cambiamento. Per questo mi sento di poter chiudere questa mia riflessione condividendo la parte finale della postfazione della responsabile dell’area educativa, Anna Maria Madeddu, che dopo aver confessato il suo scetticismo iniziale, commenta: «Grazie soprattutto ai partecipanti di questo laboratorio perché hanno aderito all’inizio alla proposta di esprimersi (facile); hanno imparato con questo laboratorio ad esprimersi in gruppo e a intendere il contributo personale come parte per la realizzazione di un tutto più grande (tosto); credono oggi che tale possibilità di espressione possa essere veicolata con l’aiuto delle istituzioni (rivoluzionario)».



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