La Nuova Sardegna

«Da Emilio Lussu una grande lezione intellettuale e morale»

di Giacomo Mameli
«Da Emilio Lussu una grande lezione intellettuale e morale»

In edicola da venerdì 8 novembre con la Nuova Sardegna, per la collana “Storia di Sardegna”, la biografia dell’autore di “Un anno sull’altipiano”. L’antropologo Pietro Clemente: «Per me è stato un indimenticabile maestro»

08 novembre 2019
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Alla domanda «chi era Emilio Lussu» la risposta è quasi un dogma: «Era la Storia, ogni ora passata con lui era un’ora di storia». Parla Pietro Clemente, tra i più autorevoli antropologi italiani, nuorese di nascita, discepolo-erede di Ernesto de Martino e Alberto Mario Cirese. Cattedra nei licei, poi nelle università di Roma, Siena e Firenze, autore di libri di successo e direttore di una rivista-cult (“Lares”). Per feeling politico, Clemente ha frequentato casa-Lussu a Roma e a Cagliari. Clemente dirige ad Armungia una summer school di antropologia con ricercatori che arrivano da tutt’Italia. Tappa fissa la casa del rione basso di Cannedu col cortile del “Cinghiale del diavolo” dove abita Tomaso, nipote di Lussu. Clemente ne parla in una mattinata d’autunno sotto la Torre del Mangia, Siena, Piazza del Campo.

In un saggio su Lares lei definisce Armungia “Il paese di Emilio Lussu e delle rose”. Perché un’immagine floreale davanti a un uomo per tutti riservato, “il Capitano”?
«In verità ho quasi istituito una opposizione, perché quando feci ricerca ad Armungia, tra il 1998 e il 2000, mi apparve chiaro che la memoria di Zio Emilio era pallida, e talora di lui si dicevano cose negative di terza mano. Armungia non veniva riconosciuta come il paese di Emilio dalla gente del posto, salvo forse che dalle maestre delle scuole elementari. Non volevo demonizzare la memoria armungese, così piena di lacune, e in fondo di distanza ingrata verso Emilio. Allora volli vedere nella grande fioritura di rose che ad Armungia trovammo quasi il simbolo di una memoria negata. Diceva Marx che la religione era per la gente comune come un fiore sulle catene. Le rose mi apparvero come un fiore sulla dimenticanza».

Due testimonianze di anziani di Armungia su Lussu, pochi giorni fa. Uno lo ha definito «un uomo politico a schiena dritta». Un altro «grandu cassadori a balla sola», grande cacciatore con cartuccia a un solo pallettone.
«Ho cercato coi miei studenti ad Armungia racconti su Lussu, ma ne ho trovato pochi, qualche immagine del fatto che quando era in paese chiedeva ai bambini di chi fossero figli e cercava di identificare i genitori, le genealogie. Emilio aveva una idea importante della storia armungese, dall’età nuragica a quella della caccia e della sua infanzia. L’ha raccontata in un’intervista con Gianni Bosio. Stupendo per me il racconto “La mia prima formazione democratica”, in cui racconta come suo padre gli impose di fare il servo di un servo per punirlo della sua arroganza e per fargli capire l’importanza del lavoro. Lussu era ricordato come cacciatore e come “eroe culturale” del mondo della caccia, benché da pochi. In un racconto si diceva che un passo del territorio di Armungia era detto “Su pass’e Lussu” perché lì, incontrando durante la caccia un cervo bellissimo, Lussu fece un gesto alla compagnia perché si astenesse dallo sparare per rispetto verso un esemplare del mondo naturale straordinario, fiero e senza paura».

Alla Costituente, Lussu aveva detto: «Vorrei che nelle case dei sardi ci fossero più libri che bottiglie d’acquavite».
«Lussu era coraggioso, non assecondava la pancia della gente. Andava spesso contropelo. La sua autorità e autorevolezza erano straordinarie. Per questo è rimasto nella memoria nazionale e negli anni più recenti è tornato ad essere quasi una stella cometa del pensiero laico, della tradizione di giustizia e libertà, di una idea di diritti e rigore».

Poi arriva l’Autonomia.
«Dopo la guerra Lussu accettò il modello dello stato regionale e delle autonomie, per questo è stato inviso a varie generazioni del neo sardismo radicale. Mentre è evidente che l’attuale Partito sardo d’Azione per lui sarebbe l’esatto corrispondente di quei gruppi dirigenti che si erano consegnati al fascismo per interessi personali. Il legame con la Lega e con Salvini premier lo ha segnato. Basta leggere “Marcia su Roma e dintorni”. Nel Psd’Az c’è la bandiera coi Quattro Mori e il nome, ma non c’è nulla che ricordi la storia gloriosa di questo partito nato dai combattenti della Grande guerra. Leggere più libri è diventato sempre più difficile anche per via dei social, con i quali talora ci si ubriaca anche senza acquavite. Ma quello culturale resta un programma fondamentale, sarebbe un’opera meritoria far conoscere la storia sarda. E anche le sue derive».

Chi dice Armungia dice Lussu, chi dice Nuoro Grazia Deledda o Salvatore Satta, Barumini è Giovanni Lilliu, Maria Lai è Ulassai. Perché il luogo di nascita è legato a doppia mandata con i suoi figli illustri?
« Tutti questi personaggi sono stati grandi per essere usciti dai loro paesi e avere affrontato il mondo senza dimenticare le loro origini. Si potrebbe dire “nemo propheta in patria” . Ma hanno tutti avuto, come disse Ernesto De Martino, «un villaggio vivente nella memoria». Forse quella impronta è stata per loro fondamentale, ma senza altri incontri col mondo non sarebbe successo nulla. Seguendo la biografia scritta da Giuseppe Fiori, Lussu fu Armungia, Lanusei, Roma, Cagliari, trincee della guerra, Roma, Parigi, Marsiglia, tutto connesso. A modo suo anche per Leonardo fu così, anche se a Parigi non era andato come antifascista».

La prima volta in cui ha incontrato Lussu?
«Conobbi prima suo figlio Giovanni col quale collaborai ad alcune iniziative politiche nella sezione di Cagliari del Psi, credo nel 1963, e sua madre Joyce che invitammo in via Satta a discutere della enciclica “Pacem in terris”. La prima volta lo vidi a casa sua a Roma, in Piazza Adriana, dove spesso venivo ospitato quando avevo riunioni politiche nella capitale. Ricordo la sua straordinaria immagine fisica, di uomo alto e asciutto, con il pizzetto, austero, con la voce bassa che imponeva l’ascolto. Ne ho avuto sempre un grande rispetto, mi ha concesso molta familiarità e alla fine, dopo che avevo lasciato il Psiup per il Movimento studentesco, nonostante la sua disapprovazione, mi scrisse ancora quando mi trasferii a Siena».

Tra di voi c’era più di mezzo secolo di differenza d’età.
«Perciò lo considero l’amico più anziano e saggio ch’io abbia mai avuto. Il suo modo di vivere il Novecento è quasi incredibile per esperienza, intensità, coraggio, lucidità. Amava molto i giovani che entravano in politica, e a me propose subito di entrare nel gruppo dirigente, anche contro l’intenzione dei “lussiani” del Psiup sardo. Frequentavo per amicizia con suo figlio la casa di via Cugia a Cagliari. Quando c’era Emilio Lussu – lo ripeto – era sempre l’ora di Storia: avvertiva, raccontava, insegnava, ma tutto dalla vita e dall’esperienza».

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