La Nuova Sardegna

Arte, fuoco e cera: così Andrea Loddo fa rinascere i bronzetti sardi

di Giusy Ferreli
La preparazione dei bronzetti in piazza a Urzulei
La preparazione dei bronzetti in piazza a Urzulei

L’artigiano riproduce in piazza “La madre dell’ucciso”, la statuina trovata in una grotta a Urzulei. «Ma niente ci fa pensare che il ragazzo fosse morto»

22 dicembre 2019
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URZULEI. Al chiarore delle fiamme che illuminano una fredda notte d’inverno si dà vita a una nuova “Madre dell’ucciso”. La riproduzione del piccolo capolavoro dell’arte nuragica prende forma nella piazza Funtana becia di Urzulei, il paese ogliastrino dove l’originale venne ritrovato in circostanze misteriose nella grotta di Sa domu e s’orcu per essere poi consegnato negli anni Trenta all’archeologo Antonio Taramelli arrivato in Sardegna per catalogare il patrimonio artistico. È un sabato sera come tanti ma questa volta la piazza ospita Andrea Loddo, l’artigiano di Lanusei che da anni racconta e divulga la storia delle antiche popolazione isolane, ricostruendo, tra le altre cose, indumenti, armature e vesti dell’Età del bronzo.

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Mentre mette a punto ogni dettaglio e alimenta il fuoco che divampa nella piccola fornace – sistemata in bella vista nel centro della piazza perché tutti possano seguire il procedimento della “fusione a cera persa” – racconta tutti i passaggi. A partire dall’utilizzo del carbone, non quello normale ma quello fossile che si trova ancor oggi a Seui, in grado di sprigionare più calore e di far arrivare la temperatura all’interno del crogiolo a 1500 gradi. «Si tratta – spiega – dello stesso carbone usato verosimilmente anche dai nuragici di Urzulei per realizzare la rappresentazione in bronzo di una donna che tiene in grembo un guerriero con pugnale e bandoliera, simboli di questo grande popolo che vediamo spesso in tantissimi bronzetti, siano essi arcieri offerenti, panettieri o musici». Per molti esperti la statuina rappresenta un donna che piange la morte del proprio figlio. «A mio giudizio, invece – asserisce Loddo –, nessun elemento può indurci a pensare che il ragazzo sulle ginocchia della madre fosse defunto».

Nel frattempo il fuoco, alimentato dal carbone, divampa fino a cambiare più volte colore e a raggiungendo infine la temperatura ideale per fondere il bronzo. L’artigiano ogliastrino prestato all’archeologia sperimentale, appassionato a tal punto alla storia dei nuragici da riuscire parlare per ore, continua a riannodare i fili che legano il presente al passato. È- un’incursione nella storia degli antichi abitanti della Sardegna, di una civiltà fiorente che faceva affidamento su esperti costruttori per realizzare, in una rete in grado di coprire capillarmente l’isola, migliaia di nuraghi diventati poi il simbolo identitario per eccellenza. «Erano torri alte che sfioravano i trenta metri – sottolinea Loddo –, veri e propri grattacieli preistorici».

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E mentre il racconto scorre veloce, tra il soffiare di due grandi mantici che danno vigore alle fiamme, cresce anche l’attesa. La tensione si fa palpabile quando l’artigiano si appresta a eseguire le fasi più delicate dell'intera serata. Il bronzo incandescente che viene versato nello stampo accende lo stupore sul volto dei bambini mentre tutti guardano affascinati le lingue di fuoco che serpeggiano sotto la fornace. I motivi d'apprensione non mancano: il guscio nel quale è stata messa la cera d’api, modellata sin nei minimi dettagli perché la copia sia la più fedele possibile all’originale e che una volta fatta sciogliere viene sostituita con la lega metallica fusa, ha una piccola fenditura. Tutto il lavoro fatto potrebbe essere compromesso in pochi secondi. L’artigiano si concentra e in un crescendo dal grande impatto che coniuga rituali ancestrali e musiche techno versa con gesti lenti e misurati il bronzo fuso nello stampo.

«È questa – dice – l’unica maniera per evitare che tutto vada in malora». Ci vuole pazienza. Molta pazienza. Il rivestimento annerito viene preso con delle lunghe pinze e messo in un piccolo cumulo di terra per accelerare il raffreddamento. Non bisogna aspettare troppo tempo perché la lega di rame e stagno si solidifichi. Andrea Loddo, che a modo suo e tra la malcelata contrarietà del mondo accademico porta avanti la sua battaglia in nome della conoscenza della storia sarda, impugna un piccolo scalpello e inizia con delicatezza e attenzione quasi maniacale a scalfire l’involucro. E arriva, infine, il momento più atteso.

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Dopo una decina di minuti, la riproduzione della “Dea madre” di Urzulei appare in tutta la sua straordinaria bellezza e riluce di un inatteso colore dorato, colore sconosciuto a chi ha sempre pensato che i bronzetti fossero di quel verde brunito che caratterizza le statuine esposte nei musei. «Questo – spiega l’artigiano – era il colore delle opere dei nostri antenati, colore che si è perso con il passare del tempo a causa del processo di ossidazione del metallo». La nuova “Madre dell’ucciso”, a differenza del bronzetto originale mancante del braccio destro, appare con tutti e due gli arti. «Il braccio mancante – precisa il creatore – per una facile intuizione era in posizione di saluto, come mostra la stessa iconografia degli altri due bronzetti provenienti dal santuario di Serri. Il bronzetto riprodotto è stato quindi elaborato e fuso, così come doveva essere in origine, con la mano in segno di saluto».

La statuina, dopo aver fatto il giro della piazza, viene messa accanto ad altre due opere realizzate in precedenza dall’esperto di archeologia sperimentale: l’arciere pesante e l’orante con stampella. La “Pietà” ante litteram, una volta rifinita da Loddo, verrà sistemata assieme agli altri due manufatti nel centro abitato grazie all’iniziativa culturale voluta dall’associazione “Sòciu po su jocu de sa murra”. La riproduzione dei bronzetti, testimonianze in quanto offerte votive della spiritualità dei nostri antenati, non rimarrà un’iniziativa fine a se stessa. Il progetto dell’associazione prevede di collocare i piccoli manufatti (che vanno dai 5 ai 12 centimetri di altezza) in tre punti specifici dell’abitato di Urzulei. Le tre opere saranno poi fissate con il piombo fuso, ovvero con lo stesso metodo impiegato dai nuragici, su altrettanti blocchi di pietra grezza e verranno accompagnate da schede con didascalie in tre lingue: sardo, italiano e inglese.

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Aver coinvolto tutta la popolazione e i giovani del paese per gli organizzatori della manifestazione andata in scena lo scorso sabato rappresenta una tappa importante nel rafforzamento della propria identità. «Ho sempre pensato che la nostra comunità avesse bisogno di un forte momento simbolico di condivisione», sottolinea Fabrizio Vella, a capo del sodalizio che da diversi anni porta avanti con innumerevoli manifestazioni un interessante percorso di valorizzazione della lingua e cultura sarda. «Quale modo migliore se non quello di celebrare una delle più importanti sculture dell’arte nuragica?» si chiede ancora, lanciando l’idea di un’altra iniziativa culturale. «La “Dea madre” di Urzulei – rileva a riguardo – è un’opera dallo straordinario valore che, assieme agli altri due bronzetti rivenuti nel nostro territorio, meriterebbe un approfondimento in un convegno».

Le tre riproduzioni daranno valore aggiunto anche all’ambizioso progetto che l’amministrazione comunale di Urzulei ha lanciato come sfida contro lo spopolamento e che prevede la riqualificazione in chiave turistica del centro storico. Nell’ambito di “Terra rubra”, un programma integrato e innovativo che fa riferimento alla denominazione del territorio rinvenuta in un documento del 1500 predisposto per dare nuove armi al paese ai piedi di monte Gruttas nella battaglia contro le problematiche delle zone interne, la valorizzazione di un passato per certi versi ancora oscuro ma di grande fascinazione è parte integrante.

Nel racconto di “Terra rubra”, che verrà scritto, pagina per pagina, ascoltando indicazioni, suggerimenti, critiche, incoraggiamenti degli abitanti di Urzulei, grande spazio avranno le più importanti espressioni della civiltà nuragica. «Crediamo che la nostra storia, anche quella più remota, vada raccontata con tutti gli strumenti disponibili. Crediamo inoltre – conclude Fabrizio Vella – che possa rappresentare un importante attrattore in chiave turistica” dice il sindaco Ennio Arba mentre, in piazza Funtana becia tiene in mano il bronzetto ancora tiepido, simbolo della sua comunità e dell’intera Sardegna . Un simbolo da valorizzare senza indugi se si crede che la cultura sia un fattore di sviluppo economico e di crescita sociale.

Nel curriculum di Andrea Loddo non ci sono solo le riproduzioni dei bronzetti ma anche la realizzazione di abiti dell’Età del bronzo sulla base delle statuine nuragiche. Tra imponenti sfilate ai piedi della torre di Barisardo e costumi per il cortometraggio Nuraghes -S’Arena l’artigiano ogliastrino ha avuto il suo bel daffare. La ricostruzione degli indumenti degli antichi sardi non è stata impresa semplice ma gli ha dato tante soddisfazioni. «Ho anche io – dice - i miei personaggi preferiti: il guerriero di Padria e l’arciere di Usellus nonché il soldato Shardana, l’unico fatto sulla scorta delle rappresentazioni murali in Egitto». Loddo da anni porta avanti la sua opera di divulgazione della civiltà nuragica anche per conto delle amministrazioni comunali. Lo si può seguire nella sua pagina Facebook o contattare al 329 4846686.

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