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Politiche 2022
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Elezioni, un sistema elettorale misto senza preferenze: la guida al voto

di Emanuele Rossi*
Elezioni, un sistema elettorale misto senza preferenze: la guida al voto

Un terzo dei membri di ciascuna Camera è eletto in altrettanti collegi uninominali (quindi: 147 alla Camera e 74 al Senato) e gli altri due terzi con un sistema proporzionale con liste concorrenti (245 deputati e 174 senatori)

24 settembre 2022
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Domani (domenica 25) si vota per Camera e Senato, ovvero per il Parlamento. Il Parlamento è l’unico organo costituzionale eletto dal popolo: Governo, Presidente della Repubblica e, in parte, Corte costituzionale e Consiglio superiore della magistratura non sono eletti direttamente dal popolo, bensì proprio dal Parlamento. Questo dovrebbe far comprendere l’importanza del voto: eleggendo i nostri rappresentanti in Parlamento possiamo contribuire a definire anche gli altri organi costituzionali. Il popolo è sovrano, sancisce la Costituzione: e tale sovranità la esercitiamo anche, e soprattutto, eleggendo i membri del Parlamento.

Possiamo rinunciare a tale responsabilità? Sul piano giuridico, sì: non sono (più) previste sanzioni o conseguenze nel caso di astensione. Ma non tutto ciò che è consentito è anche preferibile: la stessa Costituzione stabilisce che il voto è un “dovere civico”, facendo intendere che rientra nella nostra responsabilità di cittadini esercitare questo potere.

Inoltre, ricordiamo che chi non va a votare (come chi vota scheda bianca) non ottiene alcun risultato sul piano della competizione elettorale: i seggi saranno comunque ripartiti sulla base dei voti espressi.

Un ulteriore chiarimento: ho scritto che si elegge il Parlamento, non il Governo. Nessun Governo (in Italia) è mai eletto dal popolo: sarà il Presidente della Repubblica a scegliere il/la premier e (insieme a lui o a lei i ministri), e sarà il Parlamento che dovrà sancire, con il voto di fiducia, se il Presidente ha scelto bene oppure no. Questa è la forma di governo in Italia (come nelle altre forme di governo parlamentare): chi invoca “Governi eletti dal popolo”, o Governi che si formano la sera delle elezioni, fa solo propaganda, dimenticando (se l’ha letta) la Costituzione.

Detto questo, come si vota?

La legge elettorale attuale, che abbiamo dal 2017 (e che quindi è al secondo utilizzo, dopo le elezioni del 2018), prevede un sistema misto: un terzo dei membri di ciascuna Camera è eletto in altrettanti collegi uninominali (quindi: 147 alla Camera e 74 al Senato) e gli altri due terzi con un sistema proporzionale con liste concorrenti (245 deputati e 174 senatori). Otto deputati e quattro senatori saranno eletti dagli italiani residenti all’estero. La stessa legge prevede un meccanismo tale per cui il voto al candidato all’uninominale deve essere collegato al voto alla lista o alle liste che sostengono quel candidato: in sostanza non è possibile votare (come invece avviene per le elezioni comunali) il candidato all’uninominale dei 5 Stelle e dare il voto al proporzionale al Pd; oppure, sempre ad esempio, il candidato del centro-destra all’uninominale e votare la lista Calenda-Renzi. Si può votare, volendo, soltanto il candidato all’uninominale: in questo caso il voto andrà anche alla lista o alla coalizione che lo appoggia (con un criterio che tralascio per evitare di fare confusione). Se invece si vota solo per una lista, il voto andrà automaticamente anche al candidato all’uninominale collegato a quella lista. Per questo, se si vuole evitare errori, la cosa più semplice ed efficace è votare solo la lista.

Ricordiamo anche che il voto alla lista non può essere accompagnato dall’espressione di preferenze per chi è ricompreso in quella lista: l’ordine di arrivo sarà pertanto quello di partenza, e gli eventuali eletti di quella lista seguiranno l’ordine in cui sono stati scritti sulla scheda.

Fin qui, dunque, come si vota. Più complesso è spiegare come i voti si traducono in seggi. Partiamo dalla parte più semplice: i collegi uninominali. Qui è facile: chi arriva primo/a vince, gli altri (dal secondo in giù) perdono. Più difficile è capire come verranno eletti i candidati per la parte proporzionale. In primo luogo perché occorre tenere conto delle soglie di sbarramento. Non tutti coloro che ottengono voti possono infatti partecipare alla ripartizione dei seggi: la legge lo impedisce, stabilendo delle soglie minime che devono essere raggiunte per partecipare a tale ripartizione. Tali quote, tuttavia, sono diverse, e riferite a situazioni diverse. Quella per le coalizioni è del 10% ma più rilevante è quella del 3%, che vale per ciascuna lista. Il che significa che se una lista ottiene più del 3% riuscirà ad eleggere dei parlamentari, se sta sotto non ne eleggerà nessuno. E i suoi voti dove finiranno? Qui occorre distinguere: se la lista corre da sola, i voti saranno persi; ma se sta dentro una coalizione, i voti da essa ottenuti saranno distribuiti tra le altre liste della coalizione che abbiano superato la soglia. Se però sta sotto anche l’uno per cento, i voti saranno persi. Il perché è troppo complesso. da spiegare in poche righe.

Un’ultima osservazione: a seconda di quante saranno le liste escluse con i voti persi crescerà la percentuale ottenuta dalle altre liste. In sostanza, se una lista ottiene il 20% dei voti (la sera delle elezioni!), potrebbe avere in realtà il 23 o il 24% (o anche più), a seconda di quanti saranno i voti complessivi persi dagli altri. A ciò si aggiunga che la effettiva consistenza parlamentare di un partito sarà valutabile solo quando coloro che hanno vinto nel collegio uninominale decideranno a quale gruppo parlamentare aderire. Capisco che il tutto può sembrare abbastanza complesso e anche confuso. Ma vi assicuro, non è (soltanto) colpa mia.

(Emanuele Rossi è docente di diritto costituzionale alla scuola Superiore Sant’Anna)

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