Da possidente a missionario in Africa, è sardo il padre della lingua del Congo
La storia del frate nuorese Bonaventura Pirella nell’ultimo libro di Salvatore Pinna Soru
Nuoro Le vicende del frate Bonaventura di Sardegna, ossia del nuorese Antonio Angelo Pirella Quessa, spostano inevitabilmente la lente di ingrandimento della storia di Nuoro a oltre due secoli prima dei successi letterari e artistici della Belle Époque. Vicende del 17esimo secolo fino ad oggi quasi del tutto sconosciute e che riaffiorano grazie all’ultimo libro del ricercatore nuorese e tutor universitario, Salvatore Pinna Soru, intitolato direttamente con il nome del protagonista: “Fra Bonaventura di Sardegna”.
Al netto della santità, la sua è una storia simile a quella di San Francesco d’Assisi. Antonio Angelo Pirella, infatti, ha lasciato da una parte la ricca fetta di eredità proveniente dalla famiglia di costruttori di chiese e alti prelati, per abbracciare il saio e la povertà diventando Fra Bonaventura. Un missionario, ma anche un intellettuale al quale si deve la composizione della prima grammatica della lingua congolese e, grazie all’aiuto di don Manuel de Roboredo, nobile congolese-portoghese e di altri compagni, anche del Vocabularium congense, il primo dizionario della lingua kikongo della storia, con traduzioni in spagnolo e latino, composto nel 1648 e tutt’oggi inedito.
Antonio Angelo Pirella Quessa nacque a Nuoro intorno al 1608, da don Pietro Paolo (cofondatore della chiesa della Madonna del Montenero sull’Ortobene) e da Angela Quessa. Fu uno dei sei figli della coppia, oltre a Giovanni Francesco, Bartolomeo, Grazia, Mariangela e Stefania. Dopo aver compiuto i primi studi nella sua Nuoro, nell’ottobre 1627 si iscrisse alle facoltà di diritto civile e canonico dell’università di Salamanca. Dopo aver sostenuto alcuni esami, nell’ottobre 1629 entrò nel noviziato del convento cappuccino de El Calvario. Nell’ottobre dell’anno seguente prese i voti. Nel 1637, a Madrid, venne ordinato presbitero e dopo alcuni anni come professore di teologia e filosofia, nel 1644 divenne guardiano del convento di Valladolid.
Nello stesso anno chiese di essere ammesso alla missione cappuccina destinata al regno del Congo, preferendo un’avventura rischiosa a una sicura carriera ecclesiastica. Insieme con i suoi undici compagni, il 25 giugno 1645 giunse al porto di Mpinda, nella contea di Soyo (attuale Angola). Fu uno dei primi due cappuccini della storia a calpestare il suolo congolese. Imparò ben presto la lingua locale, divenendo uno dei pochi a non avere bisogno di interprete. Grazie a questo e alla sua grande dote oratoria, il re congolese Garcia II lo incaricò di numerosi e delicati compiti diplomatici presso gli olandesi della Dutch West Indian Company. Fu il primo direttore delle scuole di Mbanza Kongo, la capitale del regno, che arrivò a contare 600 allievi. Oltre al vocabolario e alla grammatica kikongo, lingua della quale viene considerato il padre, altre opere attribuite ad altri frati cappuccini, in realtà potrebbero essere le sue. Morì il 14 maggio 1649, in seguito a uno dei suoi lunghi viaggi diplomatici, sempre compiuti a piedi, durante la stagione delle piogge. Ai suoi sontuosi funerali, celebrati da don Manuel de Roboredo, parteciparono il re, tutta la corte e la popolazione di Mbanza Kongo.
Fra Bonaventura di Sardegna, non è stato un personaggio per niente facile da riscoprire. «L’ho conosciuto attraverso l’ex arcivescovo di Cagliari, Ottorino Pietro Alberti – racconta Salvatore Pinna Soru –, il primo nuorese ad essersene occupato con un articolo pubblicato nel 1968 nella rivista “Frontiera”. Da qui è partito, esattamente dieci anni fa, il mio viaggio nei vari archivi». «Ho poi scoperto un mondo intorno a questo personaggio della storia di Nuoro – prosegue – citato tantissimo dai suoi compagni e dalle generazioni di frati successive. Da qui le ricerche all’università di Salamanca e nell’archivio storico provinciale spagnolo, in quello diocesano di Nuoro e nelle biblioteche iberiche. In Vaticano, inoltre, è conservata la lettera del 1644 nella quale chiede di essere ammesso alla missione. Solo dopo è arrivato lo studio e il confronto dei dati ma anche approfondimenti sulla storia del Congo».