La Nuova Sardegna

Tra sacro e profano

La voglia di tornare a fare festa

Vanessa Roggeri
La voglia di tornare a fare festa

Questa estate 2022 straordinariamente bollente sembra aver conciliato il ritorno alle grandiose celebrazioni laiche e religiose - IL COMMENTO

18 settembre 2022
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Non sono state le temperature sahariane a fermare il desiderio dei sardi di tornare alle feste di popolo. Anzi, questa estate 2022 straordinariamente bollente sembra aver conciliato il ritorno alle grandiose celebrazioni laiche e religiose.

A quel bisogno fisico ed emotivo di stringersi in un abbraccio comunitario fatto di manifesta devozione o semplicemente di partecipazione a una ritualità che si ripete immutata nel tempo. È proprio il “tempo” l’elemento su cui si incardinano solennità come la Faradda e la Cavalcata di Sassari, il Redentore di Nuoro, la Corsa degli Scalzi di Cabras e tutti gli altri festeggiamenti che animano i comuni sardi, un tempo che sospende il presente, allontana il futuro, e ricollega a un passato eterno, dilatato, a un “non tempo” che per poche ore, o pochi giorni, diventa assoluto, l’unico concepibile.

È la tradizione che si ripete, quel tramandare di costumi colorati, di gioielli, di balli, di abilità equestre, di preghiere cantate e mormorate, di abnegazione ai Santi, di resistenza allo sforzo fisico nel sollevare “macchine” e tribolazioni, o di corse dell’anima compiute a piedi nudi su sterrati brulli che imitano le difficoltà della vita. Un tramandare che si sublima nell’arte di saper raccontare gli archetipi di una favola antica. È come un tuffo liberatorio nel mare riconoscibile della nostra identità di sardi; è il bisogno di punti fermi, poiché ciò che è conosciuto dona conforto, il ripetersi di una trama sempre uguale che ci dice che in fondo, qualunque cosa accada noi rimarremo noi, impavidi, uniti almeno finché il voto non è sciolto.

La frammentazione delle singole esistenze si amalgama in un unico legame, come se di colpo esistesse una sola grande famiglia in cui ognuno si riconosce nell’altro. Una tale forza propulsiva, che trova il suo parossismo al culmine delle celebrazioni, non può fermarsi di punto in bianco; il fluire delle nostre tradizioni che si è interrotto a causa della pandemia, generando un generale smarrimento, ci rendiamo conto che era un appuntamento soltanto rimandato; ciò che è andato apparentemente perso stiamo dimostrando di volerlo recuperare con gli interessi.

Esiste una differenza emozionale, una sorta di dualismo, tra chi si sente coinvolto e partecipa alle celebrazioni perché magari lo fa fin dall’infanzia, e chi invece assiste da spettatore, da turista: i primi rispondono a un richiamo del DNA, a un’emozione che dona un senso di completezza, di orgoglio, un’emozione amplificata da una grande risonanza di cuori accomunati dalla stessa lingua, dallo stesso modo di essere e di sentire.

In realtà è un incantesimo che inizia e si consuma nell’arco di un periodo breve e prestabilito, come un meraviglioso fuoco d’artificio: appena si spegne lo scintillio, siamo già in attesa del prossimo anno. Il turista, invece, attirato dalla spettacolarizzazione folcloristica dell’evento, vive un’emozione diversa, potremmo definirla “esterna”; gode della bellezza, delle musiche, della giostra che accompagna e accresce il pathos, l’umana curiosità vorrebbe penetrare e comprendere il mistero insondabile di una sacralità che non gli appartiene, e che tuttavia intuisce, costruendo di fatto un tendere all’inconoscibile che si risolve in un arrivare mai alla verità. È naturale e giusto che sia così: ci sono cose che diventano ancora più preziose proprio perché sono ammantate di mistero e non appartengono a tutti.

Tra sacro e profano, ulteriori protagonisti che entrano in scena e che è bene non dimenticare, sono i commercianti, gli operatori turistici e i ristoratori, ossia l’indotto economico che si crea quando si mettono in moto feste popolari partecipate da decine e decine di migliaia di persone. La loro sopravvivenza significa la sopravvivenza anche della Sardegna intera.

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