La Nuova Sardegna

L'inchiesta parlamentare

Lunghe ore in attesa dei soccorsi: le 140 persone sul Moby Prince potevano essere salvate

Simonetta Selloni
Lunghe ore in attesa dei soccorsi: le 140 persone sul Moby Prince potevano essere salvate

Nessun errore degli ufficiali, gli accertamenti hanno dimostrato che il comandante e tutto il personale si sono comportati da eroi

17 settembre 2022
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Sassari Trentun anni dopo, la verità sulla tragedia della Moby Prince ricostruita dalla relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause del disastro, non solo fa in gran parte luce su quello che rischiava di essere l’ ennesimo mistero italiano, segnato dal marchio indelebile di 140 morti. Nel lavoro della Commissione presieduta da Andrea Romano, già avviato dal precedente organismo senatoriale, c’è, nei fatti, la riabilitazione del comandante della Moby, Ugo Chessa, e del suo equipaggio: 65 uomini che morirono da eroi. Pagina 74 della relazione. «La Commissione concorda con le risultanze cui è pervenuta la precedente Commissione senatoriale in termini di non riconducibilità della tragedia né alla presenza della nebbia né all’asserita condotta colposa, in termini di imprudenza e negligenza, avuta dal comando del traghetto Moby Prince e concorda anche con le censure già mosse in tema di mancato soccorso alle persone imbarcate sul traghetto da parte della Capitaneria di Porto di Livorno». E poi, «La Commissione ribadisce che quanto posto in essere da parte dell’equipaggio del Moby Prince dopo la collisione, ovvero l’avere raccolto tutti i passeggeri nel salone Deluxe certamente per un tempo molto lungo, sia stato un comportamento di valore e coraggio straordinari da parte dei membri dell’equipaggio, i quali sono eroicamente rimasti ai posti assegnati nel tentativo disperato di salvare i passeggeri con loro imbarcati».

Alla verità tecnica sulle cause della sciagura – la presenza di un terzo natante che costrinse la Moby a una repentina manovra evasiva di emergenza che provocò la collisione tra il traghetto e l’Agip Abruzzo – c’è quella che riassegna in modo incontrovertibile la qualifica di professionista serio, capace e preparato, al comandante Chessa. I suoi familiari lo lo hanno sempre saputo (ne parla in questa pagina il figlio Luchino).

Nonostante una verità processuale di comodo, che nella presunta negligenza del comandante e nella nebbia ha coperto l’accertamento dei fatti. Quelli acclarati dalla Commissione: il comandante della Moby Chessa mise in atto tutte le procedure di emergenza. Passeggeri e gran parte dell’equipaggio vennero radunati in un salone (al ponte 4), idoneo a resistere alle alte temperature e ai fumi. Qualcuno aveva i giubbini di salvataggio, i bagagli; nelle tasche di alcuni membri dell’equipaggio fu trovato il “ruolo d’appello”, che assegna le responsabilità in caso di emergenza. La squadra antincendio della Moby venne trovata a poppa, con le pompe srotolate; il comandante Chessa e il suo equipaggio, avevano approntato un piano di messa in sicurezza in attesa dei soccorsi. Che non arrivarono, perchè quella notte, è ancora la Commissione che scrive, dalla Capitaneria di porto non venne dato un solo ordine valido per ricercare la Moby Prince. «Ogni tipo di soccorso, almeno per la prima fase di due ore dalla collisione, fu esclusivamente orientato in favore della Agip Abruzzo». E la Moby? Solo due ormeggiatori mossi autonomamente, individuarono il traghetto in fiamme, che nessuno cercava. Con il suo carico di 140 persone (il mozzo Alessio Bertrand riuscì a salvarsi). Non morirono subito. Molti si sarebbero potuti salvare, Chessa e i suoi fecero di tutto. Altro che negligenti: eroi, ma non bastò. E sarebbe ora che il riconoscimento del loro coraggio passasse anche attraverso le aule giudiziarie.
 



 

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