La Nuova Sardegna

L’intervista

Assalto ai blindati, il procuratore: «C’è un collegamento con i cinesi di Prato»

di Ilenia Mura
Assalto ai blindati, il procuratore: «C’è un collegamento con i cinesi di Prato»

Maurizio Agnello: «Link tra la banda sarda e la comunità orientale»

4 MINUTI DI LETTURA





Sassari «C’è un link con i cinesi di Prato». Che gli oltre 3 milioni di euro di bottino della rapina ai due portavalori, messa a segno da una banda di sardi il 28 marzo scorso, sulla variante Aurelia, a San Vincenzo, In Toscana, siano già finiti nelle mani della comunità orientale, con basi solidissime nella Chinatown toscana, e forti ramificazioni a Cagliari e Olbia, ne è convinto il procuratore capo di Livorno, Maurizio Agnello: «La speranza è che siano rimasti nascosti in un’azienda agricola della provincia o sotterrati ancora da qualche parte. Ma non escludiamo possano già essere finiti nelle mani dei cinesi, sotto indagine della nostra Procura per il sistema di riciclaggio di denaro proveniente dall’evasione fiscale in Sardegna».

Sono andati a fare la rapina a casa della Procura che già indaga su un sistema di riciclaggio che sfrutta gli affari dei cinesi con base a Cagliari, in via del Fangario, per poi esportare il denaro in contanti, da lavare, a Prato. Un «modello di lavatrice orientale» che potrebbe essere stato utile alle bande delle rapine per convertire rapidamente il denaro nei cosiddetti “beni rifugio”, come gioielli o orologi di lusso, facendo sparire dalla circolazione, in modo rapido e quasi indolore, ingenti somme di denaro come quelle che solo gli assalti ai portavalori fanno fruttare. Con i rischi del caso: «Perché chi fa queste rapine sa bene che qualcosa può sempre andare storto», ribadisce il procuratore capo Agnello: «Hanno agito con tracotanza e arroganza, sparando e maneggiando esplosivi con una precisione chirurgica. Sono professionisti del crimine, quando ho visto le immagini ho immediatamente pensato che non potevamo lasciarli in libertà». Su un possibile collegamento con le altre rapine in Sardegna: «Ci lavorano i colleghi dell’isola».

Dal video che ha fatto il giro del web, dando ampio risalto mediatico alla rapina. Al biglietto con i numeri di telefono ritrovato dai carabinieri che ha permesso agli investigatori di ricostruire minuziosamente la regia di un colpo programmato da mesi: «Siamo risaliti a settembre dell’anno scorso, quando la banda ha cominciato a organizzarsi commettendo i furti dei mezzi da usare per l’assalto al portavalori». Poi le intercettazioni. L’ordinanza firmata dal gip del Tribunale di Livorno, Antonio Del Forno, descrive «l'attività» di ascolto «avviata d’urgenza nel pomeriggio del 29 marzo 2025 sulle utenze telefoniche in uso a Francesco Palmas, Franco Piras e Antonio Moni», uomo chiave che avrebbe dato ospitalità ai vari componenti della banda, prima e dopo il colpo, nella sua azienda a Castelnuovo di Val di Cecina, in provincia di Pisa. «L’ascolto delle conversazioni telefoniche intercorse sull’utenza nella disponibilità di Moni» consentivano «di captare – nelle ore successive al controllo effettuato nel capannone di sua proprietà – una conversazione intercorsa alle 19.31 con la sorella Francesca Pasqualina», nel corso della quale «Moni le rappresentava di dover effettuare delle pulizie in una grotta» vicina «al capannone in località Paganina».

Le perquisizioni hanno fatto il resto, permettendo agli investigatori di ritrovare i resti bruciati di un telefono “citofono” Nokia modello 106 che andava fatto sparire ma che «veniva peraltro recuperato e repertato» dagli specialisti del Ris che sono riusciti a risalire alle utenze telefoniche utilizzate dalla banda.

«Quando ho visto il video in cui si sentiva chiaramente qualcuno parlare con un accento sardo ho pensato potesse trattarsi di un depistaggio. Le indagini hanno confermato l’effettiva provenienza dei componenti dai vari paesi della provincia di Nuoro», commenta il magistrato palermitano Agnello, 59 anni, in magistratura da 27, per sei nel pool antimafia di Palermo. «Ringrazio il gip e ringrazio i carabinieri che hanno svolto indagini minuziose permettendoci di catturare i responsabili di una rapina che poteva avere conseguenze molto gravi. Perché se in quel momento fosse passata una pattuglia sono certo che avremo potuto contare qualche morto».

Applausi e soddisfazione del capo della Procura di Livorno per un’indagine «portata avanti col vecchio sistema tradizionale» e che in due mesi ha chiuso il cerchio intorno ad una banda di 11 uomini che ha «agito con efferatezza e spregiudicatezza». Ma in due mesi, anche grazie a qualche errore della banda e al video che li riprende mentre serrano le fila mentre uno di loro urla in sardo «Ajò, tutti ci siamo» le serrate indagini coordinate dalla Procura e condotte in sinergia fra i comandi provinciali dei carabinieri di Livorno e Nuoro, sono stati tutti arrestati a vario titolo per rapina pluriaggravata, detenzione e porto in luogo pubblico di armi da guerra, munizioni, esplosivi, armi comuni da sparo, furto pluriaggravato e ricettazione. Le indagini vanno avanti e si concentrano anche su un possibile collegamento con qualcuno che ha dato informazioni sullo spostamento dei blindati che trasportavano più di 4,5 milioni di euro. Il procuratore non esclude possa esserci stata una talpa: «I mezzi utilizzati per la rapina erano stati perfettamente nascosti in una cantiere accanto alla statale. Tutto studiato nei minimi dettagli».

Primo piano

Videogallery

Assalto ai portavalori in Toscana, ecco le foto dei sardi arrestati

L’intervista

Assalto ai blindati, il procuratore: «C’è un collegamento con i cinesi di Prato»

di Ilenia Mura
Le nostre iniziative