In Sardegna un “caso Garlasco”: dopo 17 anni la svolta sull’omicidio di Giuseppino Carboni
Morì soffocato dopo una rapina: sotto accusa due uomini di Orotelli e un presunto complice di Siniscola
Soddì Diciassette anni. C’è voluto tanto, ma alla fine il lento orologio della giustizia ha compiuto il suo cammino arrivando a indicare le tre persone che potrebbero aver compiuto l’omicidio di Giuseppino Carboni, 86enne di Soddì che morì soffocato durante una rapina commessa nella sua casa del paesello sul lago Omodeo il 22 giugno 2008. Sotto accusa, traditi da un’impronta che per anni non era attribuibile con certezza a una persona specifica, sono stati raggiunti dall’avviso di fine indagine, preludio all’assai probabile richiesta di rinvio a giudizio, il 44enne di Orotelli Mirko Marteddu, il suo compaesano di 55 anni, Sandro Locci, e il 48enne di Siniscola Salvatore Argiolas. A tutti e tre il sostituto procuratore Valerio Bagattini contesta l’omicidio volontario e la rapina, con aggravanti che prevedono la pena massima dell’ergastolo. La quarta persona indagata è Pietrina Zoroddu, 50enne originaria di Orotelli e residente a Siniscola. È la moglie di Salvatore Argiolas e per lei la contestazione è diversa: sotto indagine c’è finita per le accuse di favoreggiamento, false dichiarazioni al pubblico ministero e falso a causa di quelli che la procura di Oristano ha valutato come tentativi di depistare le indagini.
L’omicidio
Il delitto era avvenuto il primo giorno di estate di 17 anni fa in via Ghilarza a Soddì. Più che una casa, quella di Giuseppino Carboni sembrava una sorta di ripostiglio, una carbonaia, la definirono gli inquirenti. Lì alcune persone tesero un’imboscata al pensionato che viveva da solo. Per prima cosa lo misero a tacere, infilandogli in bocca un fazzoletto di carta e poi sigillandola con del nastro adesivo molto resistente. Per evitare quindi qualsiasi suo movimento, legarono la vittima con dei lacci sia alle mani che ai piedi.
I rapinatori cercavano denari facili, ma il bottino si rivelò molto più misero di quanto si aspettassero. Giuseppino Carboni aveva infatti subito un’altra aggressione qualche anno prima e da quel momento si era curato di nascondere in maniera astuta la scatola in cui teneva i suoi risparmi. I banditi lo pestarono ripetutamente al volto, gli fratturarono delle costole, ma per quanto insistettero non ottennero l’indicazione che cercavano. Andarono via con poche banconote e lasciarono lì il pensionato che pian piano si spense colto da asfissia.
La svolta
In paese si accorsero soltanto il giorno dopo quanto era accaduto. Le indagini scattarono immediate, ma era chiaro che gli assassini avessero parecchie ore di vantaggio. I carabinieri capirono subito che ad agire erano state più persone, poi però, nonostante avessero rinvenuto varie impronte e tracce biologiche, non riuscirono ad attribuirle a chi aveva commesso l’omicidio. Il tempo che passa stavolta però sarebbe stato determinante: il progresso scientifico consentì alla polizia che aveva riaperto il caso di dare un nome alla persona che aveva lasciato una minuscola impronta palmare sullo scotch usato per serrare la bocca a Giuseppino Carboni. Era Mirko Marteddu che, nel 2020, fu arrestato in seguito a un provvedimento di misura cautelare deciso dal giudice per le indagini preliminari.
La procura e i poliziotti però non si accontentarono e andarono a caccia dei complici. Iniziò allora un incrocio di tabulati telefonici, di riscontri su chiamate e scambi di messaggi di celle telefoniche agganciate ed emersero i contatti tra Mirko Marteddu, Sandro Locci e Salvatore Argiolas. Gli inquirenti li collocano proprio sulla scena del delitto in quel 22 giugno 2008, mentre alla moglie di Salvatore Argiolas vengono contestate alcune dichiarazioni fasulle rilasciate durante vari interrogatori, come quando avrebbe negato l’attivazione di una serie di utenze telefoniche o ancora quando avrebbe negato che il marito e Sandro Locci si frequentassero.
Per gli inquirenti, dunque, il quadro è completo. Ora la palla passa alla difesa affidata agli avvocati Caterina Zoroddu, Mario Pittalis, Francesco Lai e Antonello Spada. Hanno venti giorni per produrre memorie e indagini difensive a tutela dei loro assistiti, poi la procura potrà chiedere il rinvio a giudizio oppure tornare indietro sui suoi passi, ipotesi che appare molto improbabile visti i lunghi anni di indagine.