Maurizio Menicucci: «Solo con la presenza dell’uomo l’Asinara può avere un futuro»
L’inviato Rai racconta l’isola con un documentario
Sassari Certi legami sono scritti nel sangue e nella terra. Ci sono amori che, per quanto tenti di scrollarti di dosso, ti si tatuano nelle ossa. La Sardegna è questo per Maurizio Menicucci: un richiamo muto e magnetico, un’eco profonda. È un'isola che non si attraversa semplicemente, ma che si insinua, ti abita, e alla fine ti reclama. Sempre. Giornalista scientifico dal grande temperamento, inviato speciale della Rai e firma autorevole del Tgr Leonardo, Maurizio Menicucci ha dedicato la sua carriera a raccontare scienza, ambiente e tecnologia con rigore e passione; in queste settimane si trova in Sardegna per un progetto che ha il sapore del ritorno alle origini: un documentario sull’Asinara. Insieme al regista romano ma di origini sarde Francesco Cabras, è impegnato nelle riprese di un documentario che punta a restituire tutta la ricchezza storica, archeologica e naturalistica di questo luogo unico del Mediterraneo.
«Quando sono andato in pensione, tre anni fa, ho fatto un bilancio della mia carriera e mi sono accorto che una fetta importante del mio lavoro - circa il 30% - l’ho svolta in Sardegna», racconta Menicucci: tanti i servizi giornalistici realizzati sull’isola – dal poligono di Quirra ai problemi ambientali del Sulcis. Ma l’Asinara, in particolare, lo ha sempre attratto «per la sua unicità: una storia umana intensa, spesso tragica, e una natura straordinariamente preservata».
Il rapporto tra Maurizio Menicucci e la Sardegna affonda le radici in una storia personale che attraversa tre generazioni. Il primo contatto risale agli anni del servizio militare, svolto come carabiniere a Porto Cervo, dove si occupava di pubbliche relazioni. Un’esperienza che si trasforma presto in qualcosa di più profondo: proprio lì conosce la donna che diventerà sua moglie, Serafina, gallurese nel sangue e nella tempra, nonostante gli ultimi quarant'anni a Torino.
Non è però solo questo il legame con l’isola. Durante la Seconda guerra mondiale, anche la madre di Menicucci ha vissuto a Cagliari con la sua famiglia, rafforzando così un legame affettivo con la Sardegna andato avanti nel tempo. «La nostra è una famiglia nomade – racconta – ma una parte di noi è rimasta qui, a Cagliari». Oggi, dopo decenni di frequentazione, lavoro e affetti, la Sardegna è diventata per Menicucci più di un luogo: è una terra di appartenenza, quasi una seconda casa. Un legame che traspare nitidamente dal suo desiderio di restituirle qualcosa attraverso immagini, ricerca e memoria. Il documentario, sostenuto dalla Fondazione di Sardegna e dal Comune di Porto Torres, sarà un racconto di 50 minuti che intreccia passato e presente.
«L’Asinara è un’isola nell’isola. Ha una storia internazionale - basti pensare ai 7000 prigionieri austro-ungarici morti qui durante la Prima guerra - ma anche un patrimonio naturalistico che sintetizza tutti gli ambienti del Mediterraneo», sottolinea Menicucci. Le sue coste raccontano due mondi opposti: a est, acque basse e calme; a ovest, falesie alte e selvagge, con habitat completamente diversi. Racchiude tutto il Mediterraneo in un luogo solo. Il sogno del giornalista va oltre il documentario. La sua visione per quest’isola è ambiziosa ma possibile: trasformare l’Asinara nel primo Parco Nazionale Europeo, un simbolo dell’identità naturale e culturale del continente. E, ancora, fondare sull’isola una Università del Mar Mediterraneo, un centro di ricerca capace di attrarre studiosi da tutti i Paesi del mondo con il sostegno degli atenei che si affacciano sul Mare Nostrum. «Sarebbe un volano formidabile per la valorizzazione del territorio e anche una risposta concreta alla degradazione che oggi minaccia l’isola, oltre a creare un turismo selezionato e a vocazione scientifica».
Per Menicucci, infatti, l’Asinara ha bisogno di tornare a vivere: «Non si può pensare alla tutela ambientale senza l’uomo. Il paesaggio è frutto dell’incontro tra natura e cura. Senza un nucleo stabile di residenti, l’isola è destinata a degradarsi». Il suo appello è chiaro: incentivare il ritorno di un piccolo nucleo di residenti che possano avviare attività produttive sostenibili - dalla pastorizia alla viticoltura -per restituire all’Asinara quella vitalità che la sua storia merita. Alla base di tutto, però, c’è un sentimento personale, radicato e profondo. «Questa non è una scelta professionale, ma una restituzione d’amore», confessa. E non solo per l’Asinara, ma per tutta la Sardegna. Un’isola che l’ha accolto, gli ha dato una famiglia, ispirato un mestiere, e ora si prepara a essere protagonista di un progetto che parla di futuro, identità e bellezza.