Cure a due velocità: per l’ictus la tecnica salvavita solo a Cagliari e Sassari
I dati di Agenas mostrano una maggiore mortalità in alcuni centri ospedalieri dell’isola
Sassar Quando l’ictus colpisce, ogni minuto conta. È una corsa contro il tempo, dove la rapidità dei soccorsi e l’efficacia delle prime cure possono fare la differenza tra la vita e la morte, tra una piena ripresa e una grave disabilità. Ma in Sardegna, la fortuna in questa corsa sembra dipendere troppo spesso non dalla gravità della patologia, né dalle risorse economiche di una Regione che finanzia interamente la propria sanità, ma da dove si vive. I recenti rapporti Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali), impietosi nella loro oggettività, dipingono un quadro di disuguaglianze intollerabili, nel quale il dovere etico di garantire cure eque si scontra con una realtà frammentata ed eterogenea.
L’ictus cerebrale, che a livello mondiale è la seconda causa di morte e nei Paesi del G8 la terza, non è solo una sentenza, ma la prima causa di invalidità e la seconda di demenza. Nonostante i progressi della medicina abbiano abbattuto la mortalità a 30 giorni, dal 20% del 2010 a valori inferiori, grazie a tecniche innovative come trombolisi e trombectomia, la Sardegna, con i suoi circa 2. 070 nuovi ictus ischemici all’anno, è un campo di battaglia dove non tutti partono con le stesse armi.
I dati Agenas rivelano una palese disomogeneità nel territorio regionale. Se le province di Cagliari e Sassari mostrano risultati di cura e sopravvivenza “buoni o molto buoni”, un’ombra scende sulle aree interne e del sud dell’isola. Oristano, Nuoro, Ogliastra e il Sulcis Iglesiente registrano tassi di mortalità superiori, a volte “molto superiori”, alla media sarda e nazionale. A Cagliari il tasso di mortalità è del 5,6%, a Sassari dell’8,4%. A Oristano si arriva purtroppo al 21,5%, in Ogliastra al 18,7%, nel Medio Campidano e a Carbonia-Iglesias al 14,3% e a Nuoro al 13,2%. Perché questa disparità? Per Oristano e Ogliastra, le ragioni sono molteplici e allarmanti: una popolazione più anziana, la cronica assenza di una Stroke Unit (l’unità neuro-vascolare specialistica), nonostante per Oristano sia prevista dall’organizzazione della Rete Ospedaliera Regionale. Si aggiunge la mancanza di servizi di telemedicina, che altrove, come in Toscana o Emilia-Romagna, consentono di erogare la trombolisi a distanza e questo, nel caso dell’ospedale di Lanusei, potrebbe permettere di sopperire, almeno in parte, all’assenza della stroke unit. Un quadro aggravato dalla “scopertura di moltissime sedi di medicina di base”, che lascia migliaia di cittadini senza accesso minimo alle cure territoriali.
Ma il caso di Nuoro è ancora più emblematico, una vera e propria cartina di tornasole delle criticità sarde. L’ospedale San Francesco, pur essendo un “I livello Rinforzato” con Stroke Unit e sala angiografica, abilitato in teoria a somministrare la trombectomia – la terapia salvavita più efficace – la eroga a solo l’1,89% dei pazienti, contro il 13,18% di Cagliari. Agenas nella sua relazione si interroga apertamente se il servizio sia mai stato “avviato visto il numero esiguo di procedure erogate”. La drammatica realtà è che un solo operatore è attualmente in grado di eseguire la procedura, mentre gli altri due professionisti presenti fino al 2021-2022 hanno deciso di lasciare Nuoro per trasferirsi altrove in Sardegna.
Anche la provincia di Sassari, nonostante una situazione, come detto, accettabile con il 7,8% di trombectomie effettuate, potrebbe migliorare e non di poco la propria condizione. Attualmente avrebbe a disposizione 37 posti letto totali di neurologia acuta, tra Aou e Asl, ma di questi ben 11 sono inattivi, sempre per mancanza di personale, e solo recentemente quattro di questi sono stati riconvertiti in day hospital. Questo significa che sulla carta ci sarebbe la possibilità di incrementare, e non di poco, il numero delle persone prese in carico. Queste disparità non sono solo statistiche: sono vite. In una regione che sta affrontando un preoccupante calo demografico, con molti anziani, privi persino del supporto familiare o di operatori sanitari a loro volta in diminuzione, questa iniquità è inaccettabile. E non si tratta di un problema di risorse economiche, poiché la Sardegna, come detto, finanzia il 100% della propria sanità e spende più della media nazionale. Le cause sono profonde: ragioni culturali ed organizzative prevalgono su quelle economiche.
La sfida è chiara: trasformare il diritto alle cure in una realtà equa per ogni sardo. La Sardegna ha le risorse, le conoscenze e gli strumenti teorici. Quello che manca, e che i dati Agenas urlano a gran voce, è la volontà e la capacità di tradurre questi elementi in una rete assistenziale che funzioni davvero, ovunque e per tutti.