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Ambiente ed energia

Bocciato il più grande impianto agrivoltaico d’Italia: doveva nascere nella Nurra

di Davide Pinna
Bocciato il più grande impianto agrivoltaico d’Italia: doveva nascere nella Nurra

Ecco perché il ministero dell’Ambiente ha detto no alla proposta da 346milioni di euro

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Sassari Finisce in soffitta, l’agrifotovoltaico di Palmadula Solar. Il progetto per la produzione di energia solare rinnovabile più imponente d’Italia, con una potenza picco di oltre 360 megawatt, batterie di accumulo di capacità pari a 82,5 megawattora e un’occupazione prevista di oltre mille ettari nella Nurra, finanziato sulla carta con un investimento da più di 346 milioni di euro. Dopo la sfilza di no arrivata da tutti gli enti interessati, dalla Regione agli uffici ministeriali, è arrivata l’ultima certificazione: il decreto del Ministero dell’Ambiente e dellaSicurezza energetica e del Ministero della Cultura che stabilisce una volta per tutte il giudizio negativo sulla compatibilità ambientale dell’intervento.

I proponenti, potranno tentare la strada dell’impugnazione davanti al Tar del Lazio, ma difficilmente i magistrati amministrativi entreranno nel merito delle circa 150 pagine che formano le due relazioni della commissione tecnica Pnrr e della Soprintendenza speciale per il Pnrr. Le quali hanno fondamentalmente stabilito che è impossibile mitigare l’impatto negativo di un progetto dalle dimensioni così mostruose su un territorio dalla vocazione agricola millenaria come è la Nurra. La gran parte della superficie fotovoltaico si sarebbe dovuta concentrare nell’agro della borgata sassarese di Palmadula, ma sarebbero state coinvolte anche Canaglia, La Corte, Li Piani, San Giorgio e Scala Erre. I diversi campi avrebbero ospitato circa mezzo milione di pannelli fotovoltaici, con la capacità di esprimere una potenza nominale di 358 megawatt. Giusto per fare un paragone, la centrale a carbone di Fiume Santo, se entrambi i nuclei lavorassero a ritmo pieno, sarebbe in grado di esprimere una potenza netta di 600 megawatt. Formalmente, il progetto prometteva di non sacrificare i terreni che avrebbero ospitato i pannelli, affiancando la produzione energetica a quella agricola. Ma l’analisi dell’Arpas ha messo nero su bianco i veri numeri, mostrando come la maggior parte degli ettari sarebbe stata destinata al pascolo ovino, non esattamente una produzione agricola di qualità.

Il progetto è stato presentato era stato presentato da una società creata ad hoc: Palmadula Solar, controllata da Age srl, con il subentro a fine 2023 della Chint Solar Europe della multinazionale cinese Chint Global. Un risiko internazionale con un investimento monstre di 346 milioni di euro. Di questa somma, solo 4 milioni e mezzo sarebbero stati destinati alle opere di mitigazione ambientale e 15 milioni era la spesa prevista per la dismissione dell’impianto, che dovrebbe avere una vita utile di circa 30 anni. I lavori per la realizzazione dei 23 sotto-campi valevano invece 314 milioni. Lo schema è sempre il medesimo: degli intermediari contattano i proprietari dei terreni ritenuti adatti a ospitare i pannelli, e propongono un affitto trentennale con una quotazione che va dai mille ai 3mila euro l’ettaro, in genere pagati in un’unica soluzione all’inizio del contratto. In questo caso, erano stati firmati oltre 40 contratti, con decine e decine di proprietari. Contratti che ora sono carta straccia, sempre che il colosso multinazionale non cerchi di tornare all’assalto.

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