I sardi del Medioevo non erano poveri e isolati: ecco la scoperta che cambia la storia – VIDEO
Gli scavi archeologici del villaggio abbandonato di Geridu, fra Sassari e Sorso, ribaltano gli stereotipi
Sorso Uno se li immagina miserabili, impegnati in una lotta quotidiana e impari contro pestilenze e carestie, costretti a una vita di sussistenza e privazioni.
E invece scavando fra i sassi di Geridu, villaggio medievale con vista da urlo sul golfo dell’Asinara, si scopre che i sardi del Medioevo non vivevano mica così. A gettare luce sui secoli bui del Nord-ovest dell’isola – ma l’esempio vale per tutta la Sardegna giudicale – è la campagna di scavi condotta dall’Università di Sassari sotto la guida del professore di Archeologia medievale Marco Milanese di cui sono stati presentati i risultati. Un’attività di ricerca resa possibile dall’accordo stipulato fra la Soprintendenza, il Comune di Sorso e l’ateneo turritano.
«Questo sito non ha nulla di eccezionale. E proprio per questo ci consente di ribaltare alcuni luoghi comuni sul medioevo nelle campagne dell’isola» spiega Marco Milanese, che conduce campagne di scavi a Geridu, nelle campagne di Sorso, da 30 anni tondi tondi.
Un villaggio arrivato a ospitare all’apice della sua crescita 326 nuclei famigliari, qualcosa come 1.500 o 2.000 abitanti. Abitavano in case di pietra, tutt’altro che catapecchie: più o meno 50 metri quadri per famiglie di circa 5 persone, che però passavano gran parte del loro tempo fuori.
«Ci immaginiamo questi uomini costretti a una vita di sussistenza e ad arrangiarsi con il baratto, ma l’archeologia ci aiuta invece a ricostruire un quadro completamente diverso». Il fatto è che setacciando la terra asciutta di Geridu, nel corso degli anni sono venuti fuori reperti di un certo tipo: «Ad esempio, ceramiche che arrivavano un po’ da tutto il mediterraneo occidentale, soprattutto da Pisa e Savona, ma anche dalla Spagna musulmana».
E poi monete, tante monete: «Molte delle quali erano di conio straniero. Tutto questo vuol dire che gli abitanti di Geridu avevano un surplus di produzione, che potevano impiegare per acquistare degli oggetti che non servivano a sopravvivere, ma corrispondevano a una certa idea di qualità della vita». La crisi comincia nel 1323 quando, dopo l’inizio della conquista catalano-aragonese dell’isola, il villaggio viene dato in feudo a nobili iberici. Ma, nel frattempo, la città di Sassari non rinuncia ai suoi privilegi fiscali sul villaggio. E gli abitanti di Geridu si ritrovano costretti a pagare una doppia razione di tasse.
«Si creano tensioni, sappiamo che nel 1331 il consiglio cittadino di Sassari ipotizza persino di bruciare il villaggio per ritorsione dopo il mancato pagamento delle tasse» spiega Milanese. Nel frattempo, i nuovi padroni catalano-aragonesi demoliscono l’antica chiesa romanica e giudicale e ne realizzano una nuova, in stile gotico-catalano. «Uno schiaffo simbolico per gli abitanti, che vedono la chiesa dei loro avi distrutta». Il nuovo edificio sacro subirà la stessa sorte nell’Ottocento, quando il parroco di Sorso organizzò i fedeli per demolirla e riutilizzare i blocchi in pietra per realizzare la chiesa di San Pantaleo.
Le tensioni continuano a crescere e il villaggio entra in una crisi sempre più profonda. Alla fine, gli incendi minacciati diventano reali: gli scavi ne hanno identificato almeno due diversi. «E le case divorate dalle fiamme, non vengono più ricostruite». Alle tensioni politiche si aggiungono le epidemie: la peste nera del 1348 e soprattutto una recrudescenza, meno nota ma altrettanto fatale, fra il 1360 e il 1362.
Per il villaggio è la fine, viene progressivamente abbandonato: negli stessi anni nell’isola spariranno circa 400 centri abitati. Un colpo da cui, secondo molti storici, la Sardegna non si è mai ripresa. Un argomento che può essere approfondito con la visita al museo Biddas di Sorso che, partendo dal caso Geridu, offre un’interessante panoramica sul quadro sardo.
Adesso il villaggio di Geridu è una vera e propria scuola di archeologia a cielo aperto, con decine di studenti universitari che ogni anno si cimentano sul campo.
Un risultato arrivato grazie alla collaborazione istituzionale: «L’accordo fra Università, Comune e Soprintendenza è il presupposto non solo per le ricerche, ma anche per i futuri sviluppo e valorizzazione dell’area» ha ricordato la soprintendente Isabella Fera. Non si tratta di auspici, ma di progetti già in essere: «Grazie a un finanziamento da 300mila euro della Rete metropolitana al Comune, presto vedrà la luce un progetto della Soprintendenza per la valorizzazione di tre siti del territorio sorsense: il pozzo nuragico di Serra Niedda, la villa romana costiera di Santa Filitica e appunto Geridu» ha sottolineato la responsabile dell’Area patrimonio archeologico della Soprintendenza Gabriella Gasperetti. «Sorso ospita un ricco patrimonio archeologico che merita di essere valorizzato – ha aggiunto il sindaco Fabrizio Demelas -. Lavoriamo per renderlo fruibile ai residenti e ai turisti, grazie alla collaborazione con l’ateneo e la soprintendenza».