La Nuova Sardegna

L'intervista

Amii Stewart: «La disco era gioia ma io mi sentivo sola. Ennio Morricone ha cambiato la mia vita»

Alessandro Pirina
Amii Stewart: «La disco era gioia ma io mi sentivo sola. Ennio Morricone ha cambiato la mia vita»

La cantante residente in Sardegna: «Negli Usa se eri di colore potevi fare solo R&B o soul Io volevo cantare altro: in Italia mi hanno dato carta bianca. Sanremo: perché no?»

01 ottobre 2022
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Capelli rasati, un tatuaggio floreale sulla testa. Amii Stewart ha cambiato look, ma il fascino è rimasto intatto, lo stesso di quando si laureò regina della disco music, conquistando le classifiche di mezzo mondo. Americana di Washington, da 40 anni vive in Italia, da tre ha deciso di stabilirsi in Sardegna, a Porto Cervo. In estate come in inverno. Una scelta di vita che rivendica con orgoglio.

Amii, cosa è per lei la Sardegna?
«Un luogo di pace. Un anno prima della pandemia io e mio marito abbiamo preso la decisione di vivere tutto l’anno in Sardegna. Quella è stata la nostra fortuna quando è scoppiata la pandemia. Viverla qui è stato completamente diverso rispetto a una grande città. Abbiamo vissuto in maniera quasi imbarazzante se penso alle tragedie successe altrove».

La prima volta nell’isola?
«Erano gli anni Ottanta. Mi avevano ingaggiato per una festa privata dell’Aga Khan al Romazzino».

Fu colpo di fulmine?
«No, quello avvenne dopo. Nel 1994 quando tornai con mio marito dopo il matrimonio. Eravamo all’hotel Cala di volpe, quando, guardando sull’altra sponda, dissi: “quanto sarebbe bello vivere qui”. E qualche anno dopo abbiamo avuto la fortuna di prendere casa proprio in quel punto. Un miracolo».

Dopo tanti anni a Porto Cervo capisce il gallurese?
«Nessuno osa parlami in gallurese, perché sanno che io capisco solo ei, uai e ajò (ride)».

Cosa le manca dell’America?
«Prima dell’Italia vivevo in Inghilterra, quindi ho vissuto più in Europa che in America. In primis, mi manca la mia famiglia, la loro vicinanza, anche se spessissimo vengono a trovarmi. E poi mi manca la cultura afroamericana, le mie radici. Per il resto sono uno spirito del mondo. Non potrei vivere senza Europa come non potrei vivere senza tornare in America. Ho bisogno di tutte e due».

Il suo primo approccio con la musica?
«Ho cominciato a ballare a 9 anni. Io ho la musica nel sangue, l’arte ha scelto me, sono nata artista. Nient’altro mi rende felice come la musica».

I suoi idoli?
«Prima quelli che ascoltavano i miei genitori: Billie Holiday, Ray Charles, Duke Ellington, Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan. Poi quando ho iniziato io a compare i dischi: Stevie Wonder, Aretha Franklin, che ho conosciuto, come anche Tina Turner, Marvin Gaye, George Benson, Sting, Village People».

Cosa era la disco music?
«Era pura gioia. Era un modo di stare insieme senza guardare il colore della pelle, la razza, l’essere gay o meno. Contava solo la persona. Tutti eravamo allo stesso livello. La disco era il grande equalizzatore».

“Knock on wood” raggiunse la vetta dei singoli più venduti negli Usa e le valse una nomination ai Grammy: come visse l’improvviso successo?
«Fu travolgente, ero come una formica su un carro armato. Ero completamente impreparata a questo genere di successo. Ho visto ogni aeroporto e ogni albergo del mondo, ma è stato il più grande momento di solitudine della mia vita. Ero sempre in aereo, negli studi tv, circondata da estranei».

Questo la portò a vivere in Italia?
«No, è stata proprio una scelta mirata. Volevo cambiare genere prima che la disco morisse. Perché io non ero una cantante dance, mi avevano preso da Broadway dove cantavo musica “seria”. Io non volevo morire con la disco perché avevo tanto da fare. Il capo della mia casa discografica mi portò per mano in tutte le major del mondo, dall’America a Londra. Ma allora se eri di colore - ancora non era emersa Whitney Houston - potevi fare R&B o soul. Ma di Aretha, di Tina ce n’erano già due. Io volevo essere Amii, non una delle tante cantanti R&B. L’unica casa discografica che mi diede carta bianca fu la Rca Italia. Firmai subito, ma continuavo ad andare avanti e indietro con Londra perché non parlavo italiano e mi sentivo isolata. A un certo punto però mi dissero che non potevo continuare a scappare».

Arriva il successo con Gianni Morandi per “Grazie perché”.
«È stato un incontro molto facile. È stato un feeling immediato. Gianni mi ha aiutato molto».

E poi con Mike Francis.
«Eravamo fratello e sorella, mi manca tanto. Francesco se n’è andato troppo presto».

Nel 1983 è in gara a Sanremo, unico festival della sua carriera: le piacerebbe tornarci?
«Ci sono tornata come ospite. Se ho la canzone giusta, però, in gara perché no?».

Nel suo curriculum c’è pure il varietà Rai con Pippo Franco, Al Bano e Romina, il Trio.
«Magari avessimo quella Rai adesso. C’era tanta musica, grandissimi autori, costumisti eccezionali, ballerine vere come Heather Parisi e Lorella Cuccarini. In tv non possono esserci solo talent, gli artisti che escono da lì durano una sola stagione, perché l’anno dopo ci sono già i nuovi concorrenti».

Tra le sue grandi collaborazioni c’è Ennio Morricone.
«Ha cambiato la mia vita artistica. Mi ha aperto le porte della musica più classica. Con il Maestro sono passata da cantante a interprete. Ha visto in me cose che non sapevo di avere, mi ha dato forza e coraggio di credere in me stessa in altra maniera. Gli sarò per sempre grata».

Altri incontri fondamentali per la sua carriera?
«Nicola Piovani. Ha creato per me una Stabat mater, “Due madri”, che mi ha portato nei teatri dell’Opera di Roma, Firenze, e poi Betlemme, Gerusalemme. È stata un’altra crescita artistica importantissima».

Cosa l’ha spinta a cambiare look?
«Ero stanca di trucco e parrucco, erano anni che volevo cambiare la mia immagine. Ho deciso di rasarmi a zero e fare un tatuaggio. Sono andata appositamente a Londra dopo averlo scelto on line. Sono così felice ora, provo un senso di libertà che non sentivo da tempo. Noi donne dobbiamo spesso rispettare dei canoni, mentre lo stesso non capita agli uomini. Io volevo sentirmi libera da tutto, certe stupide regole non mi appartengono più. È stata una mia scelta personale, ma ognuna di noi deve potersi sentire felice senza dovere rendere conto a nessuno».

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