La Nuova Sardegna

L'intervista

Felicia Kinglsey in Sardegna: «Romanzi d’amore e di ironia: l’eredità arriva da Jane Austen»

di Simonetta Selloni
Felicia Kinglsey in Sardegna: «Romanzi d’amore e di ironia: l’eredità arriva da Jane Austen»

La regina dei bestseller oggi 26 novembre a Villacidro

26 novembre 2022
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Felicia Kinglsey, ovvero un caso letterario: 11 libri e 750mila copie vendute, va benissimo negli eBook, un fenomeno sui social (qualche numero: 50mila follower su Instragram, 20 milioni di visualizzazioni su TikTok). Architetta, 35 anni, un mese fa era in Sardegna dove ha ritirato Con il romanzo "Non è un paese per single", Felicia Kingsley vince il Premio enoletterario Vermentino 2022 con il romanzo "Non è un paese per single". Oggi a Villacidro nell’ambito del “Dicembre letterario” organizzato dal Club di Jane Austin Sardegna presenterà il suo nuovo romanzo “Ti aspetto a Central Park”, Newton Compton Editori (alle 19 al Mulino Cadoni).

Scrittrice di successo, e architetta. Due vite parallele, come convivono queste due Felicia?

«Non sono Dottor Jekyll e Mr Hyde, né tantomeno Bruce Wayne che di notte diventa Batman. Non scrivo tutti i giorni, nemmeno tutte le settimane, quindi c’è spazio per entrambe le cose. In più non ragionerei per compartimenti stagni, sono due ambiti molto compenetrati: l’architettura, per me, è stata una grande maestra di scrittura».

Felicia Kingsley è italiana di Carpi. Perché la necessità di un “nome de plume”? Forse per mettere un qualche divisorio fra le due attività?

«Non ci sono motivi esotici o particolari esigenze. Quando ho autopubblicato il mio primo romanzo nel 2014 ero da poco iscritta all’Ordine degli architetti e avevo il dubbio che potesse esserci qualche conflitto deontologico quindi per non incappare in problemi o sanzioni, ho scelto uno pseudonimo. Poi, ho scoperto che non sarebbe stato un problema, ma Felicia era e Felicia è rimasto».

Il tuo genere è il romanzo rosa. Da un punto di vista letterario hai delle madri, sei una nipote, ormai più che autonoma, della cara zia Jane?

«Chiunque scriva romance fonda qualcosa della propria storia sull’eredità di Jane Austen, anche se il romance ha radici precedenti, con Pamela di Richardson. La Austen ha avuto il coraggio di mettere il famoso wit inglese nella storia d’amore. La cosiddetta sagacia, consentendo anche una prosa pungente e ironica».

In pochi anni, undici titoli: come fai a far convivere la tua altra vita con quella della scrittrice, e ora se possiamo dirlo di madre?

«Ho tanti colleghi uomini, in campo autoriale, che sono papà eppure nelle loro interviste non compare mai la domanda “Come fa a conciliare la scrittura con la paternità?”. Proviamo a invertire la tendenza, e non chiediamolo più. Se vogliamo un cambiamento culturale dobbiamo essere i primi a spingerlo».

Questa è la terra che ha dato i natali a Grazia Deledda, premio Nobel per la letteratura italiana, nel 1926. Si affermò in tempi in cui le donne non erano nemmeno ammesse al voto, proveniente da un luogo marginale, la Sardegna e da quello che era un paesone, Nuoro. Conosci la sua opera?

«Ammetto il mio limite personale riguardo all’opera di Grazia Deledda che ho affrontato solo a scuola. Ma è tra le letture su cui devo rimettermi in pari. Me ne assumo colpa e responsabilità».

Un’altra curiosità, prendendo come spunto Grazia Deledda, che scriveva con metodo rigoroso. Tu hai un metodo o sei più “indisciplinata”?

«Decisamente indisciplinata. Ho il mio metodo, come quelli che nel loro disordine hanno tutto in ordine. Io prima di scrivere devo vedere tutta la scena chiara in testa nei minimi dettagli, solo allora scrivo, che in realtà è più una trascrittura di ciò che vedo nella mia testa. Ecco perché sto diversi giorni senza scrivere e poi metto giù seimila parole di botto. Non sarà il metodo giusto, ma la mia testa funziona così».

Torniamo al mondo di Felicia Kingsley e delle sue donne. C’è una ragione per la quale i tuoi romanzi hanno come sfondo luoghi lontani, descritti con precisione e dettaglio?

«Devo inserire le mie storie in un contenitore credibile e determinati eventi risultano più verosimili se ambientati in una realtà come una grande metropoli tipo New York o Londra. La casa editrice in cui lavorano i protagonisti di “Ti aspetto a Central Park” tratta autori internazionali vincitori di Pulitzer, megaseller come Dan Brown tradotti in 42 lingue, e il respiro dell’editoria Usa serve a sostenere la credibilità della storia. Mi documento per tutto ciò che non so. A volte posso fare sopralluoghi come a Vienna e Venezia per “ Prima regola: non innamorarsi”, ma solo se devo verificare dei dettagli specifici rilevabili solo dal vivo».

Si può dire che la location, con i colori e gli odori, sia il terzo protagonista delle storie.

«Sì, perché i romanzi devono essere credibili e quindi il background lo deve essere. Se chi legge smette di credermi, mi abbandona. Non si può dare una descrizione da turista se la protagonista vive in una determinata città».

Romanzi d’amore ma con protagoniste complesse, c’è molta ironia ma anche patimenti prima di arrivare al lieto fine. È il genere che lo impone o una tua scelta?

«Il lieto fine non caratterizza solo il romance. Anche i gialli che terminano con la cattura dell’assassino, i fantasy nei quali il bene trionfa sul male, i mystery, in cui alla fine il mistero/codice viene svelato; negli action/spy alla James Bond il cattivo viene sconfitto e l’eroe salva il mondo. Lieto fine significa che il viaggio di lettura ha avuto il suo senso. Nel mio caso, scrivendo di due persone che si innamorano, il senso del viaggio si concretizza nella formazione della coppia».

Alla fine dei libri c’è elencata la colonna sonora. Perché questa scelta che è diventata un segno distintivo?

«La musica mi guida in tutta la fase creativa, è proprio un catalizzatore di idee. Quindi amo condividere anche la tracklist che ha ispirato la storia per un’esperienza più completa. È anche un modo per arginare lo “strappo” della chiusura. Un saluto più lungo, che accompagna chi legge». Insomma, un arrivederci alla prossima storia. D’amore, ca va sans dire.



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