La Nuova Sardegna

Il recital

Daniel Pennac a Sassari: «Sogno un mondo nuovo dove la diversità è un valore»

di Gabriella Grimaldi
Daniel Pennac a Sassari: «Sogno un mondo nuovo dove la diversità è un valore»

Intervista con lo scrittore francese, padre del signor Malausséne. Stasera in scena al teatro Verdi con “Dal Sogno alla Scena”

06 dicembre 2022
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Stasera alle 21 Daniel Pennac salirà sul palcoscenico del teatro Verdi ma non sarà da solo. Oltre che Pako Ioffredo e Demi Licata lo accompagnano molti dei suoi personaggi. Personaggi che l’hanno reso famoso quasi trent’anni fa anche in Italia dopo che, reduce da una carriera scolastica disastrosa, aveva conquistato la Francia con i suoi racconti. Soprattutto quelli che ruotano attorno al signor Malausséne e alla sua strampalata famiglia. Nel tempo Pennac, insegnante di lettere e scrittore vorace, si è dedicato alla letteratura per ragazzi, ai fumetti e alla drammaturgia.

Nello spettacolo che vedremo oggi a Sassari, “Dal Sogno alla Scena” lei afferma che i sogni hanno spesso ispirato la sua scrittura. Ma si può anche dire che la scrittura è stato il suo sogno?

«No, (ma) i sogni mi danno l’ispirazione per scrivere. Alcuni dei miei romanzi vengono direttamente dai miei sogni, ma non sogno mai quello che scrivo. Invece la scrittura, per me, nasce dalla lucida voglia di raccontare».

Partiamo dalle storie che l’hanno resa famosa. Anche monsieur Malaussène le è apparso in sogno?

«No, Benjamin Malaussène non è nato in un sogno. Nasce dalle mie letture e dal quartiere di Parigi dove vivo, Belleville. E molti dei miei personaggi sono ritratti dei miei amici».

Belleville. Come è cambiato oggi questo popolare quartiere parigino?

«Belleville non è cambiata molto dal 1969. Certo, le botteghe dei tornitori o dei mugnai sono scomparse, ma la popolazione è ancora multietnica, formata da una mescolanza di popoli e culture. Tutte le nazionalità si trovano a Belleville».

Cosa pensa della politica europea sull’immigrazione e delle recentissime polemiche tra Francia e Italia?

«L’Europa paga il prezzo per non aver attuato una politica culturale europea. Sogno uno scambio, per un mese all’anno, di tutti gli studenti di ogni Paese europeo. Un mese di scuola in ogni Paese. In questo modo le persone si conoscerebbero meglio. Per quanto riguarda la crisi franco-italiana che stiamo attraversando, si tratta di una disputa familiare, una lite in famiglia. Si calmerà un giorno o l’altro. La politica europea in materia di immigrazione è sempre stata la stessa. Quando abbiamo bisogno di immigrati per la ricostruzione (dopo la guerra del 1914, o dopo la seconda guerra mondiale) accogliamo gli immigrati che stanno ricostruendo i nostri Paesi. E quando arriva una crisi economica (la crisi del ’29 o lo shock petrolifero del ’73) urliamo contro gli immigrati accusandoli di averci rubato il lavoro».

Lei è particolarmente amato in Italia, come se lo spiega?

«Non sono io, è la tribù dei Malaussène ad essere amata. Benjamin si è fatto molti amici in Italia grazie a Stefano Benni, all’inizio e fino ad oggi grazie alle traduzioni di Yasmina Melaouah, la mia brillante traduttrice».

Ha insegnato per trent’anni. Pensa che la scuola, o meglio l’istruzione possa salvare il mondo?

«Penso di sì, ma non dimentico mai che il nazismo alla fine degli anni ’20 è nato in Germania, patria della filosofia».

Le statistiche dicono che non si legge più, eppure le librerie sembrano essere in salute. Ma allora chi sono i lettori di oggi?

«Questa affermazione che si legga sempre meno è un automatismo. Si sentiva dire già nel 1969, il primo anno in cui ho insegnato. Ci si lamentava già del fatto che i bambini non leggessero più. Quando i genitori si lamentano perché i loro figli non leggono, gli chiedo sempre cosa stiano leggendo “loro”».

In quanto insegnante di grande esperienza le chiedo: i giovani sono così “ignoranti” e apatici, a volte violenti, come li si dipinge?

«Quel che sono i giovani dipende strettamente da quel che sono gli adulti. Se gli adulti si reputano solo dei clienti, i bambini penseranno solo a consumare cose futili e inutili sciocchezze».

Un’ultima domanda: per diventare scrittori ci vuole coraggio, follia o ambizione? O tutt’e tre?

«Si deve avvertire un bisogno vitale di raccontare storie, cioè di rendere conto del nostro passaggio nel mondo. Che aspetto ha il mondo mentre lo attraversi? Questa è l’unica vera domanda che il romanziere si pone. E non sempre ha la risposta».


 

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