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Carlo Piano giornalista figlio dell'archistar Renzo: «Costruire è un gesto di pace»

di Paolo Ardovino
Carlo Piano giornalista figlio dell'archistar Renzo: «Costruire è un gesto di pace»

Presenta i suoi libri oggi 9 dicembre a Cagliari e domani a Sassari.  Dalla ricostruzione del ponte Morandi alla vita con il padre Renzo

09 dicembre 2022
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Carlo Piano la Sardegna l’ha conosciuta dalle coste, viste a bordo della barca a vela, passione di papà Renzo star mondiale degli architetti. Il giornalista genovese ora torna nell’isola in occasione del Lei festival di Cagliari, oggi alle 18 al teatro Doglio, e domani alla Fondazione Banco di Sardegna a Sassari (17.30). Gli spunti partono da due suoi libri. Il romanzo “Il cantiere di Berto” sulla ricostruzione del Ponte di Genova e il biografico “Atlantide”. Spunti per liberare l'entusiasmo con cui Carlo si diverte a parlare di architettura, qualcosa di ereditato e assorbito pienamente.

La frase più ricorrente, sembra il suo slogan personale, è «la magia del costruire». Dietro “Atlantide” c’è la storia di un viaggio?

«Sì, un viaggio con mio padre nei luoghi che ha costruito. Abbiamo viaggiato via mare su una nave oceanografica della Marina e quando navighi ti trovi in una situazione di sospensione, talvolta si confessano cose che altrimenti non si direbbe. Così è stato con mio padre, con i suoi dubbi, i suoi pentimenti, i cassetti segreti. Atlantide è la città perfetta e irraggiungibile, proprio quella a cui l’architetto ambisce tutta la vita».

Quello che ci circonda quanto fa parte delle nostre vite?

«L’architettura si interseca con i mutamenti della società. Non dico che li provoca, ma gli dà una forma. Quando ho rivisto il “Beaubourg” di Parigi (il centro d’arte e cultura Pompidou, progettato da Renzo Piano e Richard Rogers, ndc) mi sono accorto di come rispecchi la rivoluzione studentesca, la cultura che usciva dalla sede paludata dei musei per diventare più democratica. L’accademia delle Scienze a San Francisco, poi, è stato il primo grande edificio americano senza aria condizionata, con un tetto completamente verde. L’architettura lì si era trovata faccia a faccia con ciò che poi è esploso anni dopo: la fragilità della Terra, noi che non possiamo più permetterci di sfruttarla come abbiamo sempre fatto. E poi c’è la magia del costruire, il Potsdamer Plaz a Berlino è l’esempio del cosa significa un cantiere e il concetto di lavorare insieme. Qualcosa che annulla le differenze. Su 5.000 operai, 500 erano tedeschi e gli altri venivano da ogni parte del mondo. Costruire è un gesto di pace».

Costruire talvolta significa ricostruire. La tragedia del ponte Morandi e la nascita del nuovo ponte San Giorgio, a Genova, fanno parte di una vicenda molto italiana?

«Lo ricordo come un cantiere sospeso tra cordoglio e orgoglio. Demolitori e costruttori lavoravano insieme. Una vicenda che parla della sciatteria tutta italiana, di quando si tagliano i nastri e poi ci si dimentica la manutenzione. Ma ha dimostrato anche che quando ci si mette tutti insieme, le cose si fanno. È una dicotomia tutta italiana, basti vedere per ultimo il caso di Ischia... in nessun caso si può parlare di fatalità. Il ponte San Giorgio, comunque, è un ponte genovese: parsimonioso, sfrutta l’energia del sole, l’acqua della rugiada, non invade il territorio. Il Morandi rispecchiava invece il boom economico, il desiderio di meraviglia».

È cambiato il concetto di “costruire”?

«L’aspetto tecnico tanto. L’intento no, è sempre la stessa magia. Dai tempi dei nuraghi non credo sia cambiato. Poi, riflettevo: i giochi per ragazzi sono ormai tutti elettronici, l’unico che ha retto è il Lego, forse costruire è proprio un bisogno ancestrale. Ma alcune cose si sono mosse attorno, penso all’attenzione alla sicurezza».

L’architetto è più un sognatore o un pragmatico?

«La creatività, alla fine dei conti, è un misto tra quel che abbiamo imparato e quel che non conosciamo. Non li vedo due poli in opposizione. La bellezza va a braccetto col bisogno, sono due aspetti della stessa formula. È il “Kalòs kagathòs” dei greci. L’architettura di mio padre spesso è un mettere insieme i pezzi, ha un aspetto pratico molto spiccato».

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