La Nuova Sardegna

L'intervista

Fiordaliso: «Devo tutto a Sanremo: è la mia carriera. Ma oggi ti chiamano solo se hai 80 anni»

di Alessandro Pirina
Fiordaliso: «Devo tutto a Sanremo: è la mia carriera. Ma oggi ti chiamano solo se hai 80 anni»

La cantante emiliana si racconta: «Mio padre è di Quartu: quante estati al Poetto. “Non voglio mica la luna”? Me la stanno facendo odiare»

05 febbraio 2023
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Quarantuno anni fa il suo primo Sanremo, non passò il turno ma da quella edizione sarà tra le protagoniste assolute del festival. Fiordaliso è una delle signore di Sanremo: in gara nove edizioni, di cui otto tra il 1982 e il 1991. Alla vigilia del 73esimo festival della canzone italiana, al via da martedì anche quest’anno griffato Amadeus, la cantante piacentina, ma con padre sardissimo di Quartu, si racconta. Parla di Sanremo, musica, rivalità con le colleghe, Sardegna, ma anche del maledetto Covid che tre anni fa le ha portato via la madre.

Marina, cosa rappresenta per lei il festival?
«Sanremo è la mia carriera. Per me è sempre stato un sogno e mai avrei immaginato di andarci. Poi mia madre mi iscrisse a Castrocaro contro la mia volontà, io vinsi il concorso insieme a Zucchero e così finii a Sanremo. Il festival è per me molto importante, ma in realtà lo è per tutti. Oggi ci sono nomi come Mengoni e Giorgia che un tempo non sarebbero mai andati. Sanremo ti dà una visibilità tale che fai molta meno fatica a fare promozione degli album».

Da bambina seguiva Sanremo?
«Certo, come adesso. Amavo Mal dei Primitives. Ma ai tempi non pensavo che sarei salita su quel palco. Era come se guardando “Via col vento” avessi potuto immaginare di diventare un giorno Rossella O’Hara».

Lei è di Piacenza, ma con origini sarde. Il suo legame con l’isola?
«Mio padre è di Quartu ed è nato a Carbonia. Da bambina ho fatto tutte le vacanze al Poetto: a me e ai miei fratelli ci parcheggiava lì da giugno a settembre. Ho un ricordo molto vivo di quegli anni in Sardegna. Ora, però, vado poco dai miei parenti, perché se no mi fanno ingrassare. I sardi sono molto ospitali, ma alla fine questa ospitalità rischia di diventare un difetto (ride, ndr)».

Le è mai capitato di cantare in sardo?
«No, ma mi piace molto ascoltare la musica sarda. Ho anche avuto la fortuna di fare una tournée con Gianni Morandi e con lui suonavano i futuri Tazenda, ai tempi il Coro degli Angeli».

Tre anni fa il Covid si è portato via sua madre.
«Provo una fortissima rabbia per non averla più potuta vedere. Non perdonerò mai al governo di averla fatta morire da sola in ospedale. Mi hanno fatto una cosa troppo crudele, 15 giorni da sola, non ha neanche avuto un funerale. È un dolore che non passerà. Perché la morte la metti in conto, è la vita che gira, ma qui non mi hanno permesso di accudirla, starle vicina nei suoi ultimi momenti. Tornando indietro non la avrei portata in ospedale, le avrei preso una bombola d’ossigeno, ma almeno sarebbe morta in casa sua».

Oggi lei vive con suo padre a Piacenza.
«Sì, lui ha 93 anni e conviviamo come due studenti universitari».

È stato suo padre a trasmetterle la passione per la musica.
«Avevo 12 anni e mi portò a cantare con lui».

Il suo primo palco importante fu Castrocaro nel 1981. Con lei alle prime armi c’erano anche Zucchero ed Eros Ramazzotti. Che effetto fa ripensare a quei momenti?
«Era la prima volta che Castrocaro andava in tv, lo presentava Gigliola Cinquetti. Ramazzotti era molto chiuso, con una camicia in pizzo rosso, se ne stava in un angolo a suonare la chitarra e fare vocalizzi. Zucchero lo conoscevo già, anche perché era l’autore della mia canzone, “Scappa via”. Andai senza alcuna aspettativa, solo perché mia madre rompeva le palle. E vinsi».

1982, primo Sanremo: che ricordo ha di quella prima volta?
«La Durium mi mise in mano a Cesare Zucca, che mi fece un look molto punk: pettinatura stile Amy Winehouse e una mela insanguinata in mano. Cantavo “Una sporca poesia”, piacque molto ai giovani. E anche se mi buttarono fuori andò molto bene nelle radio private».

Il 1984 è l’anno di “Non voglio mica la luna”. Come nasce questa canzone che ormai fa parte della storia della musica italiana?
«La scrissi insieme a Enzo Malepasso, che ai tempi era il mio compagno. Poi ci fu il colpo di genio di Luigi Albertelli, il grande paroliere che ai tempi faceva anche i jingle per la Coca Cola, con questa frase un po’ dialettale, “non voglio mica la luna”, che poi sfruttarono gli operai delle fabbriche, gli studenti durante le proteste a scuola».

Si è mai sentita prigioniera di questo brano?
«Sì, due palle! È una canzone a cui devo tanto, la faccio sempre volentieri, ma se mi chiamano in tv e mi fanno fare solo la “luna” meglio non vado. Alla fine me la fanno odiare».

Oxa, Bertè, Rettore, Mannoia, Marcella Bella: c’era rivalità tra voi cantanti della generazione Ottanta?
«C’era eccome, non ci si parlava proprio. Quel mondo è cambiato molto, oggi sono amica di Rettore, Ivana Spagna. Ai tempi c’era una rivalità intrinseca. C’è una foto emblematica di un Sanremo: io che guardo da una parte, la Oxa dall’altra. Tutte e due schifate».

È vero che nel 1987 “Quello che le donne non dicono” era inizialmente destinato a lei?
«Così ha detto Enrico Ruggeri, ma io lo ho saputo dopo anni. La scrisse dopo “Oramai”, ma visto che io feci la “luna”, da lui ritenuta troppo commerciale, non me la propose e poi la diede alla Mannoia. Per fortuna sua e della canzone».

Nove Sanremo: il più bello?
«Quello della “luna” per gli altri. Per quanto mi riguarda ogni volta sei dentro un frullatore di ansia, preoccupazioni e interviste».

Le hanno mai bocciato una canzone?
«Anche quest’anno, ma già sapevo non mi avrebbero preso. Vieni scelto solo se hai 80 anni o se sei un outsider. Oltre Mengoni, Giorgia e pochi altri la maggior parte non so chi siano».

Chi vincerà?
«Credo Ultimo, piace molto».

Lei intanto è pronta per una tournée internazionale.
«Nel bel mezzo del festival mercoledì parto per il Canada, poi Cuba e ancora Toronto. Poi quando rientro in Italia riprenderò con concerti e ospitate in discoteca. Fortunatamente io lavoro sempre».

Ci sarà un decimo festival di Sanremo di Fiordaliso?
«Chissà, magari quando avrò ottant’anni».

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