Sandro Ghiani: «Ho lasciato il seminario per il cinema, ma il mio ruolo mancato è un monaco»
Nato e cresciuto a Carbonia racconta i suoi 80 film al fianco di Celentano, Manfredi, Banfi e Verdone. «Per il primo ruolo del sardo in un film mi dissero che ero troppo alto. E pensare che sono un metro e 65»
Ai suoi tempi l’isola al cinema non era rappresentata o quasi. C’era Tiberio Murgia, ma a lui facevano quasi sempre fare il siciliano. E così tutti i ruoli del sardo se li accaparrava lui, Sandro Ghiani, sardo di Carbonia. Barista, benzinaio, cameriere, soldato, sempre dal cognome isolano doc: Porcu, Puddu, Cuccureddu. In tutto ottanta film al fianco di tutti i più grandi della commedia, da Celentano a Manfredi, da Banfi a Verdone.
Cosa sognava da bambino?
«Non lo so, perché io dopo la morte di mio padre pensavo solo a fuggire. Non avevo una meta, andavo avanti per forza di inerzia come il vento».
Che ricordi ha della sua infanzia in Sardegna?
«Io stavo a Caput Acquas, una frazione di Carbonia. Dai 2 agli 8 anni stavo tutto il giorno a giocare scalzo sulla ghiaia col cerchio di una bicicletta, con lucertole, cavallette. È stato il periodo più bello della mia vita».
Lei è un prete mancato.
«A Carbonia i preti mi invitarono a entrare in seminario. Ma tutto quello di bello che mi dicevano in realtà è stato quanto di più brutto potessi trovare. Dai miei 13 anni, dopo che è morto mio padre, sono stato sballottato da un istituto a un altro, finché non sono arrivato a Tortona, dove ho trovato un direttore eccezionale che mi ha anche spinto a fare teatro. Poi, quando sono andato a fare il militare a Roma mi sono trovato nella patria del cinema e ho deciso di fermarmi lì».
Come è entrato il cinema nella sua vita?
«Alla Cecchignola facevo parte del coro dei militari e misi su anche qualche spettacolino. C’era un ragazzo che faceva figurazioni al cinema e mi disse: “A te piace recitare, perché non vai da questo agente?”. Finito il militare, presi casa a Trastevere e andai subito a cercare questo agente. “Tu hai una bella faccia cinematografica, ti propongo e vediamo cosa succede”, mi disse. E arrivò il primo film».
“Sturmptruppen” con Renato Pozzetto, Teo Teocoli, Lino Toffolo e Corinne Cléry.
«Era Ferragosto e giravamo in una cava di zolfo abbandonata in tuta mimetica, zaino, baionetta ed elmetto. Così per venti giorni. “Ma il cinema non doveva essere una cosa bella?”, mi chiesi».
Il primo ruolo da sardo in “Mani di velluto” di Castellano e Pipolo.
«Cercavano un sardo. Allora a fare cinema non eravamo molti. Quindi, l’aiuto regista mi fa: “Ti propongo, vediamo cosa dicono i due registi”. La loro risposta fu: “Ci piace, ma è troppo alto per essere un sardo”. Ma se sono alto un metro e 65? Comunque, non solo mi hanno preso per quel film, ma anche per “Il bisbetico domato” e “Asso”, sempre con Celentano, e per una serie sui vigili urbani con Lino Banfi».
Com’era Celentano sul set?
«Una persona stupenda, simpatico. Lui aveva la sua roulotte, doveva vestirsi lì, mangiare lì, ma veniva sempre da noi. “Voglio stare con i miei compagni”, rispondeva ai produttori».
Al suo fianco ha avuto anche attrici top: Ornella Muti.
«Molto alla mano. E guai se la chiamavi Ornella: lei era solo Francesca».
Eleonora Giorgi.
«Anche lei molto carina. Quando finimmo “Mia moglie è una strega” mi disse: “Sandro, devo fare un film con Liliana Cavani, ti porto da lei e vediamo se c’è un ruolo per te”. Il ruolo non c’era, ma lei lo fece veramente».
Marina Suma.
«Ora ci siamo persi, ma eravamo diventati amici. Passavamo insieme tutti i compleanni».
Laura Antonelli.
«Lei mi piaceva tantissimo. Io ero cresciuto con i suoi film: “Malizia”, “Peccato veniale”. Allora ero giovanissimo...».
Fu al fianco di Carlo Verdone nel suo film d’esordio “Un sacco bello”. Era già così ansioso?
«La cassettina di medicinali era sempre pronta. Era alle prime armi, era super gentile. Lo ritrovai in “Zora la vampira” ed era un po’ cambiato. Ma ormai era un attore affermato».
In “Fracchia la belva umana” l’incontro con Lino Banfi, forse il più importante della sua carriera.
«Sicuramente, con lui ho fatto diversi film. Dopo “Fracchia” lo fermavano per strada e gli chiedevano di me e a me chiedevano di lui. Così quando nel 2008 fece la serie sul commissario Zagaria mi volle nel cast. Siamo diventati amici, ogni tanto vado nella sua Orecchietteria a Roma. Mi dice: “Sandro, se vengo a trovarti devi farmi i ricci...”. Se gli proponi i ricci di mare viene anche in Sardegna».
“Professione vacanze” con Jerry Calà è ancora un cult.
«Ci siamo divertiti, Jerry ha sempre la battuta pronta, è molto alla mano...».
Tra i tanti con cui ha lavorato qualcuno non alla mano?
«Sempre gentile, ma Renato Pozzetto resta un po’ sulle sue».
80 film: il suo preferito?
«Sicuramente “Spaghetti house”, perché è una delle poche volte in cui mi sono sentito veramente attore. Nino Manfredi mi ha aiutato molto, ogni volta che entrava sul set tutti si fermavano. Un’esperienza unica che mi piacerebbe ripetere».
Un rimpianto nella carriera?
«Ai tempi giravo talmente tanti film che ho dovuto dire dei no. Quando facevo “Passione d’amore” di Ettore Scola la notte il mio agente mi portava sul set de “I carabbinieri”. Ma sicuramente un grande rimpianto c’è. Feci uno spot in Francia con Jean-Jacques Annaud e quando venne in Italia per girare “Il nome della rosa” chiese di me. Al provino mi fece i complimenti. Era per il ruolo del monaco Salvatore, ma era una coproduzione e il ruolo andò a un inglese».
Fare spesso il sardo è stato limitante?
«No, nella mia carriera ho fatto anche il siciliano, l’abruzzese. Ma se non fossi stato sardo non avrei fatto “Scemo di guerra” con Beppe Grillo, “Tre colonne in cronaca”, “Sos laribiancos”: tutti film tratti da libri in cui c’era un sardo tra i protagonisti».
In questi anni ha scritto tre libri ed è tornato a teatro.
«Dal primo libro, “L’angelo della porta accanto”, sto cercando di fare un film, spero in Sardegna. Poi dall’8 al 18 maggio sarò all’Anfitrione di Roma con “Gli investigantonti” insieme ad Alvaro Vitali. Poi verrò in Sardegna a presentare i libri. C’è anche “Pane e zucchero”, scritto con Rosa Castrogiovanni, pronto per diventare un altro film».
Il suo obiettivo, insomma, è tornare al cinema.
«No, è fare il mio film».