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La crisi della Dinamo Sassari: chi siamo e da dove veniamo

di Andrea Sini
La partita tra Jesi e Dinamo del 31 gennaio 2010
La partita tra Jesi e Dinamo del 31 gennaio 2010

Il commento del giornalista Andrea Sini che da 5 anni e mezzo segue la Dinamo per la Nuova Sardegna

08 dicembre 2015
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La prima volta che ho seguito la Dinamo in trasferta per questo giornale, è stato a Jesi, palasport “Ezio Triccoli”. L’ultima volta, in ordine di tempo, è stata la settimana scorsa: Mosca, Cska Universal'nyj Sportivnyj Kompleks. Tra una partita e l’altra sono passati cinque anni e mezzo. Non serve sottolineare cosa è successo tra le due partite: è sufficiente questo flashback per sbatterci in faccia, in maniera brutale ed esaltante, cosa è accaduto dalle parti di piazzale Segni in poco più di un lustro.

C’era la Dinamo, una volta, una bella realtà locale che da circa vent’anni vivacchiava tra alti e bassi nei campionati di seconda e terza serie: qualche soddisfazione in serie A2, qualche brutta annata in B1, la perenne ricerca di aiuti per far quadrare i conti e il sogno di raggiungere la massima serie che per tutto quel periodo non era molto dissimile dal desiderio che tifosi della Torres hanno da cent’anni di raggiungere la serie B: è là, non è poi così distante, ma è sempre e solo un sogno.

C’è sempre stato molto pubblico, al palazzetto, perché il basket è un bellissimo sport, si gioca al riparo dalle intemperie e tutto sommato la B1 e la A2 non sono brutti campionati, anzi. E poi siamo Sassari, insomma, ci si può accontentare.

Verso la fine dello scorso decennio sono successe alcune cose: la famiglia Mele ha fatto le scelte giuste e ha centrato il miracolo: A1. Non solo: subito salvezza, subito playoff, subito vittorie di prestigio con squadre un tempo irraggiungibili come Milano. Pubblico in delirio. C’è stata la crisi societaria, la Dinamo ha rischiato di sparire e il pubblico ha fatto la sua parte in maniera decisiva. Stefano Sardara, presidente ambizioso e visionario, prima di imbarcarsi in questa impresa ha calcolato tutto con precisione e si è presentato così: “il pubblico è il nostro primo sponsor”.

La Dinamo è cresciuta nei risultati e nell’entusiasmo, ha fatto innamorare i calciofili e anche i non sassaresi. Ha iniziato a giocare alla pari, spesso vincendo, con realtà leggendarie del basket: Cantù, Bologna, Roma, Varese, la stessa Milano. È sbarcata in Europa. La gente ha iniziato a strapparsi i capelli. Il giorno che la squadra di Sacchetti ha giocato in Eurocup in Serbia, mentre ritiravo l’accredito al palazzetto di Belgrado ho alzato lo sguardo e ho visto la locandina della partita. C’era scritto Stella Rossa-Dinamo Sassari in cirillico e io mi sono dovuto asciugare qualche lacrima di pura emozione. Non me ne vergogno, perché sono di Sassari e perché in quell’esatto momento ho realizzato cosa fosse diventata la Dinamo e dove diavolo fosse arrivato il nome della mia città. Mi è successo anche l’altro giorno a Mosca. Poi sono arrivati la Coppa Italia, l’Eurolega, il Real Madrid, lo Zalgiris, l’altra coppa Italia, lo scudetto. Lo scudetto a Sassari. Mi sono dato un anno di tempo per realizzare cosa sia lo scudetto a Sassari, perché sono passati 5 mesi e ancora non ci sono con la testa. So soltanto che è stato irripetibile ed è stato meritato.

Nello sport chi si accontenta è perduto, ma chi non sa accontentarsi non ha futuro. Per questo un progetto così solido non può essere messo in discussione da una partita no, da un periodo no o eventualmente da una stagione no. Ora serve un passo avanti: Sassari oggi deve dimostrare di essere degna della Dinamo.

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